Sacchetti “bio” non veramente tali: perché non recuperare il “vecchio” sacchetto in carta?

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sacchetti in carta verde da frutta
Gli ambulanti di Confcommercio utilizzano la carta senza aggravi per l’utenza. No ai sacchetti portati da casa, a meno di cambiamenti della norma

sacchetti in carta verde da fruttaLa norma varata dal governo Gentiloni su proposta di alcuni deputati Pd di rendere obbligatori i sacchetti compostabili per l’asporto di frutta e verdura dai negozi, per giunta facendoli pagare da 1 a 5 centesimi a pezzo ha suscitato un vespaio di polemiche e reazioni velenose sia tra gli opeatori commerciali che tra i consumatori, quest’ultimo costretti, oltre a pagare un nuovo balzello, anche ad utilizzare sacchetti particolarmente “deboli”, molto facili alla rottura.

Inoltre, ha destato perplessità il fatto che la norma, spacciata per un miglioramento della qualità dell’ambiente rispetto all’impiego dei sacchetti in materiale plastico, ha introdotto l’obbligo di adozione di un materiale, la plastica in “Mater-Bi” (prodotto frutto della ricerca italiana sviluppata dalla Novamont i cui vertici sarebbero particolarmente “vicini” al leader del Pd, Matteo Renzi), che non sarebbe totalmente biologica, in quanto il 60% dei componenti dei nuovi sacchetti compostabili sarebbe, per ammissione dello stesso ministro all’Ambiente, Gianluca Galletti, a base petrolifera, quindi plastica. 

La soluzione escogitata dal governo fa a pungi con la logica e la realtà: se poteva andare bene la logica di mettere fuori legge i sacchetti in plastica, così come è stato fatto negli anni scorsi per le borse grandi della spesa, si poteva lasciare liberà ai commercianti e ai consumatori di scegliere quale sistema scegliere per l’asporto di frutta e verdura dai negozi: dalla sporta traforata in plastica lavabile e riutilizzabile all’infinto (soluzione già adottata in altri paesi) alla borsa in stoffa lavabile e riciclabile o, infine, al classico sacchetto di carta. Il tutto senza scaricare sui consumatori un nuovo onere economico.

Tornando alle reazioni, Coop annuncia che «siamo stati contrari a far pagare i nuovi sacchetti e ora siamo impegnati a contenerne il prezzo vendendoli sottocosto. Quello che è necessario è fare chiarezza: le ultime interpretazioni ministeriali sui sacchetti monouso rendono ancora più complicata la gestione dell’intera situazione. Coop presenterà a breve soluzioni effettivamente praticabili di riuso dei materiali di confezionamento dell’ortofrutta a minor costo per i consumatori e più sostenibili per l’ambiente». 

Critiche anche da Donatella Prampolini Manzini, presidente di Fida, la Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia e vicepresidente Confcommercio: «soltanto chi non ha mai lavorato in un punto vendita può pensare che siano percorribili soluzioni fantascientifiche, come quelle dell’utilizzo di sacchetti portati da casa, con l’obbligo da parte degli esercenti di verificarne l’idoneità; un modo certo per creare contenziosi con i clienti e confusione in caso di eventuali controlli. La discussione sui sacchetti biodegradabili richiede chiarezza nell’interesse dei consumatori, degli esercenti e anche della Pubblica Amministrazione, chiamata direttamente in causa. Se la finalità della norma era preservare l’ambiente – precisa il presidente – non si capisce la necessità di obbligare gli esercenti a far pagare i nuovi sacchetti perché, a differenza della legge sugli shopper riutilizzabili, per i sacchetti usati nei reparti “self service” una vera alternativa di fatto non c’è». 

Prampolini Manzini fa sapere di aver cercato di far capire più volte in questi mesi al Ministero che, pur condividendo il principio di base, lo strumento imposto dell’Unione Europea fosse sbagliato. Punto dolente della vicenda è la tempistica per l’adozione di questa norma, che «non era così contingente da obbligare l’Italia ad essere tra i primi in Europa, e poteva permetterci la ridiscussione dei termini. La nostra proposta di prendere quanto meno sei mesi di tempo nei quali non elevare sanzioni per verificare gli effetti pratici di questo provvedimento – conclude Prampolini – ci pareva una soluzione praticabile e di buon senso. Prendiamo atto che così non è stato, ma almeno evitiamo di applicare cure peggiori della malattia».

Del nuovo obbligo paiono meno preoccupato il presidente della Fiva-Confcommercio, la Federazione Italiana Venditori Ambulanti, l’associazione di categoria più rappresentativa di questo tipo di commercio, Giacomo Errico: «noi i sacchetti per frutta e verdura li abbiamo sempre regalati e continueremo a farlo, senza far pagare nulla al cliente. Per quanto ci riguarda è una polemica senza senso. Per noi non cambia niente, perché utilizziamo da sempre sacchetti di carta, che non sono vietati, non li abbiamo mai fatti pagare al cliente e così faremo, un modo per coccolarlo». Quanto al peso della busta, Errico tiene a precisare che «la bilancia da sempre è tarata sul peso del sacchetto di carta e continuerà ad esserlo. E quindi se un cliente acquista 1 chilo di zucchine, la merce sarà messa nel sacchetto di carta e poi nella sporta biodegradabile che abbiamo sempre usato. Tutto questo senza fargli pagare niente». sacchetto rete frutta verdura etichette

Su presunti problemi igienico sanitari legati alla riutilizzabilità dei sacchetti ecologici, interviene Legambiente: «basta con lo scaricabarile tra i ministeri Ambiente e Salute e l’allarmismo su presunti problemi igienico sanitari. Si consenta subito l’uso di retine riutilizzabili come in altri paesi europei. Senza alternative, si tolga l’obbligo del pagamento per i consumatori. I ministeri dell’Ambiente e della Salute la smettano di lasciare in sospeso i consumatori del nostro Paese con argomentazioni vaghe e pretestuose e di praticare un incomprensibile rimpallo di responsabilità sulla vicenda delle retine riutilizzabili per frutta e verdura. Serve con urgenza una nota ufficiale congiunta dei due dicasteri che autorizzi la grande distribuzione a garantire ai cittadini un’alternativa riutilizzabile alle buste compostabili monouso, così come avviene già in diversi Paesi europei». 

Il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani la nuova disposizione, sicuramente più restrittiva rispetto alle altre adottate in Europa, deve essere un vanto per l’Italia nella battaglia contro l’inquinamento da plastica non gestita correttamente. «Il nostro Paese fino a sei anni fa era tra i maggiori consumatori in Europa di sacchetti di plastica per l’asporto merci, ma grazie alla legge del 2012 è stato possibile ridurre del 55% l’uso di shopper. Il costo dei sacchetti serve proprio a disincentivare l’uso di sporte usa e getta. Ora mettiamo finalmente la parola fine a questa assurda vicenda, prevedendo un’alternativa gratuita e riutilizzabile anche per i sacchetti per frutta e verdura e spiegando ai cittadini la grande portata di questa legge. Se questo non sarà possibile, allora è meglio togliere dalla legge l’obbligo di pagamento per il consumatore dell’acquisto dei sacchetti compostabili. Non ci si risulta che in Germania, Svizzera e negli altri paesi europei ci siano mai state epidemie causate dalla contaminazione da sacchetti o retine riutilizzabili nei supermercati – prosegue Ciafani -. E poi i reparti dell’ortofrutta dei supermercati non sono sterili come camere operatorie. L’inevitabile e naturale presenza della terra residua dalle attività agricole, ad esempio, testimonia che i rischi igienico sanitari paventati sono davvero pretestuosi. Smettiamola con questi falsi allarmismi. Siamo di fronte a una norma sacrosanta finita però nel tritacarne mediatico per alcuni errori imperdonabili commessi dal governo. La legge è dello scorso luglio, non è possibile che ancora non si chiarisca ai supermercati e agli stessi cittadini quali sporte riutilizzabili è possibile usare».