Due progetti espositivi ad altrettanti intrepreti delle grammatiche contemporanee italiane. Due proposte parallele dedicate a due grandi precursori delle istanze dell’ultimo Novecento
Dal 5 novembre al 18 marzo 2018 al Mart di Rovereto sono visitabili due interessanti ed originali mostre, forse non per il grande pubblico, ma sicuramente preziose per la loro portata culturale nella storia dell’arte moderna del Paese.
A distanza di molti anni, e visto il rinnovato interesse per l’arte italiana dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, la mostra dedicata a Francesco Lo Savio (Roma 1935 – Marsiglia 1963) si presenta come un’occasione per ampliare il quadro critico di uno degli artisti più importanti e meno visibili di quel periodo storico. A quasi quindici anni dall’ultima mostra in Italia, il progetto espositivo del Mart, a cura di Silvia Lucchesi, Alberto Salvadori e Riccardo Venturi, presenta circa cinquanta tra le cento opere che l’artista romano realizzò nel corso della sua breve vita. Una carriera, bruciante quanto intensa, consumata tra il 1958 e il 1963, quando il suicidio interruppe lo sviluppo delle molteplici intuizioni elaborate in soli cinque anni di produzione, lasciando un’eredità che sarà accolta, in modo più o meno consapevole, dall’arte minimalista e dall’arte concettuale, in Italia come all’estero.
Lo Savio resta un artista unico nel panorama italiano dell’arte del XX secolo. Profondamente radicato nella storia dell’arte italiana – con riferimenti che possono essere ricondotti agli studi di Leon Battista Alberti, così come alle più recenti sperimentazioni di Giacomo Balla – mostra una sorprendente apertura verso l’arte internazionale, includendo nelle sue opere elementi che provengono dall’astrazione europea e dalle prove neo-avanguardistiche del Gruppo Zero.
La mostra, frutto di un’attenta ricerca d’archivio, s’incardina sullo studio di documenti inediti, come gli appunti autografi che Lo Savio consegnò allo storico dell’arte e dell’architettura Udo Kultermann, esposti per la prima volta. Questo materiale permette di ricalibrare il quadro storiografico e critico dell’arte di Lo Savio e di correggerne altresì alcuni luoghi comuni sulla sua opera, che la prematura scomparsa dell’artista ha senza dubbio alimentato.
L’esposizione prende spunto così dall’architettura, con cui Lo Savio intrattenne un rapporto privilegiato che resta in gran parte inesplorato, per lo più relegato agli ultimissimi mesi della sua vita. Il ritrovamento d’importanti documenti inediti, tra cui il menabò, gli appunti e i disegni del secondo volume di Spazio-Luce che Lo Savio aveva ultimato prima di togliersi la vita, permettono oggi di ricostruire l’importanza decisiva dell’architettura e di attribuirne un ruolo inedito nei cinque anni di produzione artistica.
Sebbene Lo Savio non abbia mai realizzato i suoi progetti architettonici, l’architettura si configura nel suo pensiero come un potente dispositivo visivo e teorico che gli permette di ripensare radicalmente il ruolo delle arti visive nella società del dopoguerra, e d’inscriverla in un contesto più ampio che spazia dall’urbanistica alla fisica quantistica.
Al cuore della pratica di Lo Savio, come in quella di molti artisti italiani che hanno lavorato sullo spazio, c’è la luce, che l’artista romano ricercò senza sosta sulla tela, sulle lastre metalliche, nelle sculture, nei progetti architettonici e urbanistici, oltre ovviamente che negli scritti e negli appunti inediti. Vera e propria ossessione compositiva, presupposto del raffinatissimo rapporto concettuale che le sue opere intrattengono con lo spazio, la luce instaura inoltre un rapporto stretto con la presenza dello spettatore.
I Filtri, realizzati tra il 1959 e il 1961, si muovono in questa direzione. Composti da molteplici strati di carta sovrapposta, lasciano emergere un cerchio iscritto in un quadrato, mettendo in evidenza la natura vibratile e la capacità penetrante della luce che attraversa spazio e materia generando multipli strati di immagini.
Tale capacità mutante e mutevole la ritroviamo nei dipinti Spazio-Luce, coevi dei Filtri, che impongono la loro presenza nonostante la forma ridottissima. Qui la luce sembra farsi spazio abitato.
Nei Metalli – l’ultima serie di opere compiuta prima della sua morte – la struttura materiale si trasfigura nell’esperienza diretta della luce nera, perseguita da Lo Savio già attraverso il medium della pittura.
Nel 1963, Lo Savio realizzò le Articolazioni Totali, nelle quali un unico piano curvo di metallo è imprigionato in una scabra scatola di cemento aperta su due lati. In un alternarsi dinamico di bianco e nero, chiuso e aperto, luce e ombra, Lo Savio ottiene così un vertiginoso punto d’equilibrio tra geometria e metafisica.
La mostra sarà seguita dalla pubblicazione di un catalogo-monografia critica collettiva, la prima di questo genere, in cui gli autori, specialisti dell’opera di Francesco Lo Savio, si concentrano su un singolo aspetto quali, ad esempio, la pittura, la scultura, la luce, l’architettura. Il catalogo sarà infine accompagnato da un’edizione critica degli scritti di Lo Savio, dalla pubblicazione di documenti inediti. Nel complesso, questo volume restituirà la poliedricità, la coerenza estrema e l’attualità delle opere e degli scritti losaviani.
L’altra mostra in contemporanea al Mart è dedicata all’opera di Carlo Alfano (Napoli, 1932-1990), figura cardinale delle indagini concettuali italiane che si distinse per una ricerca continua, rigorosa e inquieta non assimilabile a nessuna precisa corrente artistica.
Curata dal direttore Gianfranco Maraniello e dal curatore Denis Isaia, l’antologica presenta un notevole corpus di opere raramente esibito o da anni assente sulla scena espositiva nazionale e internazionale. Cinquanta opere, realizzate tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Novanta, testimoniano gli sviluppi di una ricerca non ancora pienamente indagata.
L’esposizione segue il percorso creativo di Carlo Alfano, insistendo sulla propensione scenica dell’artista e dunque inquadrando le opere non solo negli sviluppi cronologici o storico-artistici, ma anche in quelli allestitivi. Risultano evidenti tanto l’attualità della ricerca di Alfano, quando le peculiarità della sua indagine.
In tutta l’opera di Alfano, fin dagli esordi, è costante la tensione verso gli interrogativi legati ai significati della rappresentazione dell’arte e dell’esistenza, in senso filosofico. L’arte diviene esperienza privata nella quale si fondono il letterario e il visivo, la scrittura e l’immagine, la voce, il racconto, la memoria.
Dopo gli esordi legati alla pittura Informale degli anni Cinquanta, Alfano avvia una riflessione dedicata ai meccanismi della visione e della percezione, che dalla produzione di opere d’arte cinetica approda alla realizzazione di ambienti tridimensionali. Dalla fine degli anni Sessanta l’attitudine analitica che lo contraddistingue assume con sempre maggiore evidenza i caratteri della ricerca concettuale. Ampiamente rappresentata in mostra, questa stagione è caratterizzata da elementi linguistici e filosofici che indagano lo spazio e il tempo, l’individuo e l’altro da sé.
Tra i lavori più significativi si distinguono la serie delle Distanze e l’opera Stanza per voci, installata per la prima volta nella versione a doppio telaio come da progetto originale dell’artista, il ciclo Frammenti di un autoritratto anonimo, cominciato nel 1969 e concluso solo con la scomparsa dell’artista.
Nel corso degli anni Settanta e con più continuità nel decennio successivo, l’opera di Alfano torna alla figurazione trattando soggetti mitologici e riferimenti iconografici della storia dell’arte, senza però rinunciare alla dimensione autoriflessiva che ne contraddistingue gli esiti fino alle ultime realizzazioni.
La grande esposizione del Mart illustra gli sviluppi della ricerca di Alfano con particolare attenzione agli aspetti allestitivi, restituendo al visitatore l’inclinazione teatrale che caratterizza tutta l’opera. In mostra lavori provenienti da importanti collezioni private e da istituzioni pubbliche, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e il Museo d’Arte contemporanea Donnaregina di Napoli.
La mostra è accompagnata da un catalogo monografico in inglese e italiano con contribuiti di Flavia Alfano, Maria De Vivo, Stefano Ferrari, Denis Isaia, Gianfranco Maraniello e Andrea Viliani. Il volume costituisce la più esaustiva raccolta delle opere dell’artista resa possibile grazie alla collaborazione con l’Archivio Alfano.