Scontro sui Pfas tra Veneto e ministero alla Salute

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pfas mappa territori inquinati
Zaia: «abbassiamo noi limiti». Lorenzin: male rimpallo responsabilità». Lunedì incontro al ministero per dirimere la questione. A dicembre direttiva dell’Unione Europea sui limiti

pfas mappa territori inquinatiTra Venezia e Roma la polemica è sempre rovente, specie in tema di sanità, prima con l’obbligatorietà dei vaccini e ora con quello degli inquinanti Pfas nell’acqua. Tra Regione Veneto e ministero della Salute si apre un nuovo scontro sulla salute pubblica.

Il nuovo oggetto del contendere è la richiesta della Regione governata da Luca Zaia di fissare un limite alla concentrazione di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) nelle acque potabili, che non c’è nella legislazione nazionale, e che il Veneto chiede al Governo per gestire l’emergenza nelle province di Vicenza, Verona e Padova, un’area con circa 350.000 abitanti, dove i tassi di inquinamento rinvenuti sono 100 volte superiori a quelli massimi di molte legislazioni europee.

«Prendiamo atto – ha attaccato Zaia – che nel Governo manca la volontà politica di gestire questo problema, basti pensare agli 80 milioni di euro promessi per la messa in sicurezza degli acquedotti e mai stanziati. E’ evidente che si penalizza la Regione che per prima si è attivata ponendo dei limiti già nel 2014, mentre per le altre aree del Paese si lascia che ogni Regione sia libera di fissare o meno dei limiti, magari intervenendo quando i buoi saranno scappati dalla stalla». Conseguentemente, ha annunciato Zaia, il Veneto farà da solo, procedendo ad una «drastica riduzione dei limiti della concentrazione di Pfas nelle acque potabili». 

La prossima settimana Palazzo Balbi adotterà provvedimenti che dovrebbero portare i limiti ai livelli più bassi d’Europa. «Non c’è che da prendere atto – ha sottolineato Zaia – dell’atteggiamento scandaloso del ministero della Salute che, negando la necessità di fissare limiti nazionali, fa finta di non vedere la realtà e, di fatto, ci dice di arrangiarci». 

Non si è fatta attendere la risposta del ministro Beatrice Lorenzin: «questo rimpallo di responsabilità non è una buona cosa quando si parla di azioni così pesanti sul piano ambientale, che sono perdurate nel tempo e che tra l’altro sono state tempestivamente individuate ed arginate da questo ministero. Mi sorprende – ha aggiunto – che Zaia dica che il governo non agisce rispetto a questa situazione». Sui Pfas, ha evidenziato Lorenzin, il ministero «è intervenuto con l’Istituto superiore di sanità, e non solo; abbiamo individuato il problema ormai qualche anno fa, ma abbiamo invitato la Regione Veneto a procedere e ad arginare quello che è un fenomeno ad altissimo rischio per tutta la popolazione». 

Netta la risposta dal ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti: «credo non ci sia mai stato un impegno tanto serio e determinato sui Pfas quanto quello messo in campo dal ministero dell’Ambiente e più in generale dai governi Renzi e Gentiloni» ha detto, citando un impegno di oltre 100 milioni. 

L’epicentro del problema Pfas è in Veneto perché a Trissino, in provincia di Vicenza, ha sede l’azienda chimica – oggi il marchio è “Miteni” – che da decenni produce Pfas per l’industria. Gli attuali vertici di Miteni denunciano di aver “ereditato” dalle passate gestioni la grana dell’inquinamento. Ma quando nel gennaio 2017 l’agenzia ambientale Arpav ha proceduto ai primi sequestri, la Procura di Vicenza ha indagato 9 persone tra attuali ed ex dirigenti della fabbrica. La Regione Veneto ha iniziato già nel 2013 ad occuparsi dell’inquinamento da Pfas sul territorio, quando su ordine del ministero dell’Ambiente il Cnr avvertì del «possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono le acque prelevate dalla falda». Da allora, tra Giunta Zaia e Governo è stato braccio di ferro.

Per l’assessore veneto all’Ambiente, Giampaolo Bottacin, l’inquinamento da Pfas «è noto da tempo e riguarda molte aree d’Italia. Lo studio del CNR del 2013 ha riscontrato in acquedotti di una città non veneta ben 120 ng/l di Pfos, la sostanza più pericolosa della famiglia Pfas (in Veneto il limite è  30 ng/l). Ciò significa che ad oggi ci sono italiani al di fuori del Veneto che bevono acqua inquinata più degli scarichi industriali del Veneto e questo per me è a dir poco preoccupante. Per cui sarebbe opportuna una valutazione più accurata dei dati da parte del ministero della salute». Quanto al fatto che tocchi direttamente alla regione normare in tema di soglie, Bottacin rileva che «è vero che potremmo abbassare ulteriormente i limiti, ma esclusivamente per le sostanze attualmente normate che non sono tutte, come per esempio quelle a catena corta. Per quelle in cui la norma non c’è il problema resta, tant’è vero che abbiamo già ricevuto parecchi ricorsi per eccesso di potere quando abbiamo fissato limiti con atti amministrativi regionali e, senza una norma di legge nazionale chiara, c’è il rischio concreto di soccombere in sede di giudizio. Cosa che per altro è già accaduta una volta. È proprio in ossequio al principio di precauzione – puntualizza ancora l’assessore – che infatti la nostra Regione ha imposto agli scarichi industriali gli stessi limiti delle acque potabili».

Dal ministero alla Salute, Lorenzin annuncia che a «dicembre dovrebbe arrivare una direttiva europea che attendiamo tutti che tenderà ad uniformare, come abbiamo chiesto, i parametri Pfas nelle acque per tutti i Paesi europei», sottolineando che lunedì 25 settembre è previsto un tavolo tecnico tra gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità e i rappresentanti della regione Veneto nell’ambito degli incontri periodici che fanno parte del piano di sicurezza dell’acqua. «Si tratta di una riunione era già pianificata nell’ordine del giorno – afferma Luca Lucentini, dell’Istituto Superiore di Sanità – ed era anche in conto la revisione dei limiti di Pfas sulla base dei riscontri delle analisi. Noi già dal 2013 abbiamo avvisato la Regione di non superare livelli prossimi allo zero contaminazione da noi stabiliti e abbiamo comunque provveduto sempre più ad abbassare i paletti».

Cosa sono le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) responsabili dell’inquinamento dell’acqua di falda? sono composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili all’acqua, allo sporco e all’olio. Vengono adoperate per numerosi prodotti come per esempio impermeabilizzanti per tessuti, pelli e carta oleata oppure tappeti, divani, sedili delle auto e contenitori per alimenti. L’utilizzo più noto è probabilmente quello che se ne fa come rivestimento antiaderente delle pentole e dei tessuti impermeabilizzanti e tecnici. 

Legambiente in un rapporto spiega come «a livello medico i Pfas siano riconosciuti come cancerogeni e responsabili di una serie di altre gravi patologie. In Veneto – viene osservato – la contaminazione delle acque superficiali e le acque di falda da Pfas ha come “principale fonte” lo scarico industriale. La scoperta dell’inquinamento in corso – osserva Gigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – è avvenuta a seguito di uno studio del Cnr: i ricercatori nel 2013 evidenziavano come le elevate concentrazioni di Pfas destassero “preoccupazione dal punto di vista ambientale e un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevevano quest’acqua”». 

L’area interessata si estende tra le province di Vicenza, Verona e Padova; la falda da cui si preleva l’acqua serve una popolazione di circa 400.000 abitanti. «E’ qualcosa che non dovrebbe essere presente nell’acqua e tanto meno nel sangue delle persone come invece è emerso – rileva Lazzaro – e tra l’altro potrebbe non essere soltanto nell’acqua che si beve ma la situazione preoccupa anche per la possibilità che possa trovarsi negli alimenti. Dal punto di vista sanitario l’allarme – prosegue – è in itinere con un piano di monitoraggio sui cittadini dai 14 ai 65 anni; mentre sul fronte ambientale siamo assolutamente fermi: non si interviene ne’ dal versante giudiziario ne’ con le bonifiche». Tra le possibili soluzioni, conclude Lazzaro, quella di «spostare la presa dell’adduzione dell’acquedotto».