Vola l’export, con il NordEst in vetta. Saldo commerciale a +121,6 miliardi di euro

0
764
export freccia grafica
A trainare il settore c’è il nuovo triangolo industriale italiano: Milano, Venezia e Bologna. La soddisfazione di Zaia: «potremmo fare ancora di più se non ci fosse la zavorra del fisco italiano»

export freccia graficaNel 2016 il saldo commerciale dei prodotti “Made in Italy” ha registrato un valore positivo pari a 121,6 miliardi di euro: dato pressoché in linea con quanto avvenuto negli ultimi anni. Un risultato, comunque, che “oscura” quello negativo realizzato dai prodotti manifatturieri “non made” (-31,2 miliardi di euro) che, tradizionalmente, sono riconducibili a settori caratterizzati prevalentemente da imprese molto strutturate

Tra i prodotti “Made in Italy”, la parte del leone l’hanno fatta i macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, forni, bruciatori, macchine per l’industria delle pelli, delle calzature e per la lavorazione dei metalli, etc.) con un saldo positivo di ben 48 miliardi di euro (pari al 39,5% del saldo del “made in”). Ottima la performance anche del comparto della moda (tessile, abbigliamento, calzature e accessori) che ha raggiunto un risultato positivo di 18 miliardi e dei prodotti in metallo (cisterne, serbatoi, radiatori, coltelleria, stoviglie, generatori di vapore, utensili, etc.) che hanno raggiunto quota +10,9 miliardi e dei mobili (+7,2 miliardi).

Per contro, le altre produzioni manifatturiere, quelle cioè non ascrivibili al “Made in Italy”, si sono caratterizzate per saldi commerciali molto negativi: l’industria della carta, stampa e del legno (escluso i mobili) con -1,4 miliardi, il tabacco con -1,8 miliardi, i prodotti metallurgici (fonderie, produzioni di ferro, acciaio, ferro-leghe, tubi, condotti, cavi, etc.) con -2,9 miliardi,  le auto con -4,7 miliardi, la chimica-farmaceutica con 8,6 miliardi e i computer e l’informatica con -11,6 miliardi.

Secondo l’Associazione artigiani di Mestre, autrice dell’indagine, per prodotti “Made in Italy” si identificano principalmente quelli ascrivibili ai settori delle  “quattro A”: ovvero l’Abbigliamento-moda; l’Arredo-casa; l’Automazione-meccanica e l’Alimentare. Comparti che in larghissima parte sono contraddistinti dalla presenza di Pmi a conduzione familiare che, in molti casi, hanno raggiunto nei propri settori posizioni di primazia mondiale. A seguito di questo straordinario fenomeno che ha avuto inizio nei primi anni ’60 del Novecento, l’espressione “Made in Italy” si è trasformata in qualcosa di molto più importante di un semplice marchio di origine, giungendo ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio “marchio”, dotato di un’identità ben definita e divenuto sinonimo di qualità e affidabilità che ci sono riconosciute in tutto il mondo.

A livello territoriale, le Regioni protagoniste di questo straordinario risultato sono, in particolar modo, tre: il Veneto (con un saldo “made in” pari a +25,5 miliardi), l’Emilia Romagna (+23,6 miliardi) e la Lombardia (+21,4 miliardi). Si pensi che nel 2016 l’incidenza percentuale di queste tre realtà sul saldo commerciale Italia è stato del 58,7%.

«Grazie a questo risultato – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – possiamo dire che il successo delle produzioni “Made in Italy” ha disegnato il nuovo triangolo industriale del paese. Se il motore dell’economia si concentrava tra Milano, Torino e Genova, da qualche decennio, invece, questa figura ha mantenuto un vertice sulla città meneghina, ma si è spostata su due di nuovi: Venezia e Bologna. All’interno della Pedemontana lombardo-veneta, della via Emilia e dell’asse Bologna-Venezia, infatti, si concentrano conoscenze, saperi, qualità produttive, elevata mobilità professionale e sociale che hanno proiettato stabilmente quest’area tra le macroregioni più avanzate d’Europa».    

Germania (30,8 miliardi di euro), Francia (28,3 miliardi), Stati Uniti (25,9 miliardi) e Regno Unito (14,9 miliardi) sono i principali mercati di sbocco dei prodotti “Made in Italy”. In questi quattro Paesi confluisce il 37% del totale delle esportazioni “Made in Italy”.

Sempre in riferimento al “Made in Italy”, i dati riferiti alle esportazioni sono molto confortanti anche nei primi quattro mesi di quest’anno. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, infatti, le vendite all’estero sono aumentate di 4,4 miliardi di euro (+5,1%). In termini assoluti spicca il dato riferito alla raffinazione dei prodotti petroliferi (+1,7 miliardi di euro) e ai macchinari (+1 miliardo di euro). Sempre in relazione alle sole esportazioni, sono in crescita anche quelle dei prodotti “non made”: in particolar modo la chimica-farmaceutica (+1,8 miliardi) e degli autoveicoli (+1,2 miliardi di euro) 

Non mancano i problemi, ma grazie al  “Made in Italy” molte attività ritornano a produrre in Italia. «Sebbene i dati statistici siano molto buoni – conclude Zabeo – i problemi non mancano. L’elevato livello dei costi energetici, il mercato della contraffazione che, secondo il Censis, vale 7 miliardi l’anno e il deficit infrastrutturale in  campo immateriale sono solo alcuni degli ostacoli che minano la tenuta di questo settore”. Si pensi che per quanto concerne la banda ultra larga, ad esempio, da un recente censimento fatto su 11.376 zone industriali d’Italia, emerge che la copertura fissa si ferma al 22% e il 13% è addirittura privo di banda larga di base. Nonostante ciò, va segnalato che l’effetto “Made in Italy”, strettamente legato alla necessità di comprimere i costi, i tempi logistici e di migliorare il servizio post vendita hanno indotto molte aziende che avevano delocalizzato in parte o completamente l’attività a rientrare in Italia. Secondo l’Osservatorio Uni-Club MoRE Back-reshoring, si parla di 121 casi in Italia di imprese che hanno riportato la produzione in patria in questi ultimi 10 anni – quasi esclusivamente tra l’abbigliamento, l’elettronica e la meccanica leggera – su 376 casi che, sempre nello stesso periodo, si sono verificati in tutta Europa.

Il dato che vede il Veneto regione regina dell’export italiano è letto con soddisfazione dal governatore Luca Zaia: «il mix di identità, qualità, innovazione, tradizione e tecnologia ha portato il Veneto al primo posto nel settore dell’export “made in”. Sapevamo che i nostri bravi imprenditori che hanno saputo internazionalizzarsi e muoversi per il mondo senza aiuti da Stato e governi, con sottobraccio esclusivamente il catalogo delle loro eccellenti produzioni, con le loro produzioni e capacità di esportazione avevano sostenuto il Pil e l’occupazione negli anni della Grande crisi dal 2007 a oggi. Ma la Cgia arriva a dirci anche di più: a “certificare” che fra Milano, Bologna e Venezia si è creata un nuovo grande distretto del “Made in Italy” del valore di ben 48 miliardi di lire». 

Per Zaia «se questo è il risultato raggiunto dal Veneto nonostante un “total tax rate” sulle imprese che supera il 60% contro il 46% medio nella UE, una burocrazia borbonica che lascia costantemente aperto l’“ufficio complicazioni affari semplici”, che fa pagare tasse sulle macchine solo perché imbullonate a terra, che pretende imposte ancor prima che l’imprenditore abbia incassato, beh, non voglio pensare a cosa potremmo fare in questa regione se potessimo disporre liberamente delle risorse che il territorio. Non accetto di continuare a guardare con rammarico e impotenza a quante risorse vengono prodotte e messe in circolo ogni giorno da  questa straordinaria classe imprenditoriale, da questi lavoratori Veneti dalle mani d’oro che sanno sacrificarsi, essere tutt’uno con la propria azienda, essere flessibili prima ancora che lo dicano le leggi (sbagliate) e i  soloni che scrivono libri ma non hanno mai visto un capannone, e che, ahimè, vengono sequestrate da Roma, che le usa per regalarle a territori tecnicamente falliti»

«Oltre che nell’export, il Veneto è già primo in tanti altri settori – conclude Zaia -. Ma non basta. Bisogna liberare ancora di più risorse ed energie, consolidare produzioni e lavoro perché senza lacci e lacciuoli questa regione può competere con intere nazioni. Ce la faremo, ne sono sicuro, perché questo è quello che vogliono i Veneti».export made in italy per regione