Eseguito per intero l’album “Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles
Di Giovanni Greto
Una serata memorabile e lunghissima – due ore e dieci minuti senza intervallo – per celebrare un anniversario, i cinquant’anni trascorsi dall’uscita di “Sgt. Pepper’s”, l’album, forse, più conosciuto dei Beatles.
Oltre ai musicisti che compongono la Magical Mystery Orchestra (di seguito in forma abbreviata MMO), c’era anche l’orchestra del Teatro La Fenice, diretta da Fabio Codeluppi, che ha aperto la serata eseguendo, per la prima volta in Italia, la versione ridotta di “Yellow Submarine Suite”, composta dal produttore del quartetto George Martin: gli archi, i fiati, le percussioni in primo piano a infondere colore ad una musica di ampio respiro. “Yellow Submarine” (1968), diretto da George Dunnig è un film d’animazione disegnato dal tedesco Heinz Edelmann. I Beatles partono da Liverpool, a bordo di un sottomarino giallo, per andare a liberare Pepperlandia, invasa dai Biechi Blu (“Blue Meanies”), nemici della musica, che vogliono decolorarla. La spedizione andrà a buon fine, come tutte le favole che finiscono bene.
A seguire, l’attore Fabrizio Bentivoglio ha recitato un monologo scritto dal giornalista Giò Alajmo. I Beatles erano stanchi di sentire per tutta la durata dei loro concerti un indistinto continuum di urla di ragazzine piangenti, facili allo svenimento. Dopo una tournee devastante negli Stati Uniti, dove da quattro anni fondamentalisti cristiani e Ku Klux Klan avevano dichiarato guerra al quartetto, prendendo spunto da un’infelice dichiarazione di John Lennon (“siamo più popolari di Gesù Cristo”), decisero che il concerto del 29 agosto 1966 sarebbe stato il loro ultimo.
Dopo una gestazione di nove mesi, il primo giugno 1967 esce “Sgt.Pepper’s”, un album che narra una storia e che influenzerà, anche in aspetti non positivi, come quello di un massiccio consumo di marijuana, una generazione di giovani, non soltanto britannici, che stava dirigendosi verso la rivoluzione del 1968, contro l’invasione del Vietnam, il conformismo, per un nuovo rapporto di coppia (“l’amore libero”). Cosa c’era di più bello che amarsi e farsi una canna ascoltando la musica preferita?
La MMO affiora dal basso (dove si colloca l’orchestra nelle opere liriche) per eseguire una di seguito all’altra le tredici canzoni dello storico album “Sgt. Pepper’s”; “with a little help from my friends”, di cui si impossessò Joe Cocker per darne una versione arrabbiata al festival di Woodstock nel 1969; “Lucy in the Sky with Diamonds”, in cui le iniziali dei sostantivi rimandano all’LSD, l’allucinogeno i cui effetti tutti volevano provare. La MMO ha voluto inserire tre canzoni dei Beach Boys, come ha spiegato Eddy De Fanti, ideatore del progetto con Francesco Fracassi, perché erano loro il gruppo antagonista ai baronetti e non i Rolling Stones, la cui musica era totalmente diversa.
E allora “God only knows”, prima di “Getting better”. Si prosegue con “Fixing a Hole” e “She’s leaving home”, ispirata a una notizia di cronaca. “Here today”, la seconda canzone dei Beach Boys, precede una teatrale esecuzione di “Being for the benefit of Mr.Kite!”, da parte del bravo attore Giorgio Bertan, nel ruolo di imbonitore, che è l’ultimo brano del lato A del disco. La terza canzone dei Beach Boys, “Within love without love” fa da introduzione al lungo brano che apre il lato B, “Within you without you”, l’unico scritto da George Harrison per il disco, influenzato dalla musica e dalla filosofia indiana, che apprese la tecnica del Sitar dal maestro Ravi Shankar. E’ un brano non facile, a tratti insidioso, arricchito da un arioso intervento dell’orchestra della Fenice e dal quartetto tutto femminile Magical Mystery String Quartet. “When I’m sixty-four” è una swingante canzoncina di McCartney, il quale, rivolgendosi alla propria compagna, così conclude: “Avrai ancora bisogno di me, mi farai ancora da mangiare quando avrò sessantaquattro anni?” E ancora, “Lovely Rita”, ossia amabile Rita, ragazza-contatore; “Good morning good morning”,con i versi di animali da cortile in sottofondo che preludono alla ripresa di “Sgt.pepper’s”. Finché arriva il brano conclusivo, forse il più bello, sul cui titolo la MMO ha giocato per dare un nome alla serata, “A day in the life”, in cui è importante la presenza di un’orchestra sinfonica che cresce gradualmente verso un monumentale finale.
La platea non lesina applausi. La MMO, sempre più caricata e incitata da grida amiche, inanella altri pezzi famosi ed amati dei “Fab Four” tratti da “Magical Mystery Tour”, il film natalizio del 1967 e dalla colonna sonora di “Yellow Submarine”: “Strawberry fields forever”; “Penny Lane”, in cui un solista dell’Orchestra sinfonica riproduce l’assolo originale di trombino; “Magical Mystery Tour”; “Hello Goodbye”; “The fool on the Hill”; “Hey Bulldog”; “I am the warlus”, nella quale ricompare Bertan per mettere le maschere originali a quattro componenti del gruppo basico e per dar vita a un recitativo basato sulla traduzione in italiano del testo. L’ultima canzone è “All you need is love”, “basta solo un po’ d’amore”, che venne diffusa in mondovisione sempre nel 1967. Ma il concerto non finisce qui. E mentre un De Fanti sudatissimo chiede al pubblico di richiedere con forza ed entusiasmo alla MMO di proseguire, partono i bis: “The long and winding road”; “Yesterday”, Roberto Cecchetti voce e chitarra acustica, accompagnato solo dagli archi; la scatenata “Twist and shout” degli inizi ed infine “Let it be”, legata al ritornello, intonato assieme ai musicisti dall’intero teatro, di “Hey Jude”.
Non resta che citare uno per uno i componenti della MMO, a partire dal quintetto basico, rinforzato da Paolo Vianello alle tastiere: Eddy De Fanti, chitarra, percussioni, fisarmonica e voce; Roberto Cecchetti, chitarra e voce; Massimo Bellìo, chitarra e voce; Andrea Ghion, basso elettrico e voce; Matteo Ramuscello, batteria. Ottima la prova del “Magical Mystery String Quartet” – Luisa Bassetto, violino, vocalità e percussioni; Francesca Balestri, violino, vocalità e percussioni; Elisabetta Rinaldo, viola e vocalità; Valentina Rinaldo, violoncello e vocalità – e della “Magical Mystery Brass” – Gianfranco Busetto, tromba; Giovanni Caratti, trombone; Marco Bertona, corno inglese – raddoppiata dal concorso di tre solisti dell’Orchestra del teatro. A partire da “I am the warlus” è da elogiare l’apporto dei “Growin ‘Up Singers”, un nutrito organico corale di giovanissimi, diretto da Paola Pascolo, che hanno portato una ventata di freschezza ad arrangiamenti pensati con intelligenza.
Lunga vita, dunque ad un’orchestra, nata nel 1991, per rievocare con rispetto in modo non pedissequo il sound dei Beatles e che nella sua discografia annovera l’incisione di due canzoni, “Rain” e “I am the Warlus”, nel gennaio del 2005 nei mitici studi di Abbey Road, inserite in un doppio CD interpretato da numerosi gruppi italiani che si dedicano a continuare a suonare la musica dei Beatles. Per gli amanti dei memorabilia, un consiglio finale: una visita al “Beatlesmuseum” di Brescia, ideato da Rolando Giambelli, presidente dei “Beatlesiani d’Italia Associati”, presente in sala, che ha dato il suo supporto a “The life in a day”.