Valerio: «Non vi sono politiche fiscali sufficienti per un rilancio e una effettiva ripresa della domanda interna». Pucci: «non è vero che le tasse sono state tagliate. Il taglio deve esserci ora e subito»
Il Parlamento sta discutendo la “manovra” di fine primavera per fare quadrare i conti del bilancio dello Stato, che vede l’ennesimo record del deficit in crescita nelle ultime settimane di altri 20 miliardi di euro. Le categorie economiche sono in allarme rosso verso alcune iniziative che, se attuate, strangolerebbero ulteriormente la già asfittica crescita economica.
«Non vi sono politiche fiscali sufficienti per un rilancio e una effettiva ripresa della domanda interna» afferma Confapi Padova, Associazione delle Piccole e Medie Imprese del territorio, di fronte alla manovra varata dal Governo, che ora prevede l’esame di 1.700 emendamenti. «Ci preoccupa l’estensione dello “split payment”, che rischia di sottrarre alle Pmi liquidità soprattutto se non accompagnato da una puntuale esecuzione dei rimborsi del credito Iva» rimarca il presidente Carlo Valerio facendo proprie le preoccupazioni espresse a livello nazionale dalla Confederazione nel corso dell’audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Per Valerio «visto l’attuale contesto economico, le Pmi si troverebbero, da una parte, strozzate da un’irrisolta difficoltà nell’accesso al credito e, dall’altra, private di risorse funzionali al mantenimento e allo sviluppo dell’attività economica d’impresa. Inoltre, peggiora il quadro sulla lunghezza dei tempi medi di pagamento non solo della pubblica amministrazione. ma anche tra privati. Tra le proposte di modifica presentate, ce ne sono due targate Partito Democratico che chiedono di far slittare dal prossimo luglio a gennaio 2018 l’estensione dello “split”. Ma siamo convinti che non si tratti di farlo slittare, ma di abolire una misura che a livello nazionale è già costata 18,5 miliardi in due anni – da quando è entrato in vigore lo “split payment” – in termini di Iva non riscossa, e, secondo quanto calcola Fabbrica Padova, centro studi dell’Associazione, almeno 340 milioni a livello provinciale».
Questo non è l’unico punto che desta perplessità. «Le Pmi contestano l’articolo che, in nome della lotta all’evasione, riduce da 15.000 a 5.000 euro le compensazioni per i crediti derivanti da imposte dirette, addizionali locali, Irpef e Iva. Questa misura – evidenzia Valerio – comporta un aumento degli oneri a carico delle industrie, in special modo quelle di piccola e media dimensione. Gli imprenditori per poter tornare a investire hanno bisogno di certezze: questo balletto tra paventati e indefiniti aumenti dell’Iva e ipotesi di scambio con la diminuzione del cuneo fiscale scoraggia gli investimenti. Purtroppo, invece, non si fa alcun riferimento alla riduzione dell’aliquota Irpef annunciata più volte e ciò costituisce una gravissima perdita di competitività rispetto ai principali Paesi europei, che entro determinate soglie di reddito presentano aliquote di gran lunga ridotte».
Confapi Padova evidenzia poi che «nell’ambito dell’attuazione del piano “Industria 4.0” sarebbe opportuno prorogare al 31 dicembre 2018 il termine per poter usufruire dell’iperammortamento al 250%, differendo il termine di pagamento del 20% del valore del bene a giugno 2018. Inoltre l’applicazione all’incentivo Ace, già più volte stravolto in passato riducendone il rendimento nozionale subisce un ulteriore ridimensionamento. Questa modifica, unita alla diminuzione dell’agevolazione fiscale, rischia di renderne eccessivamente complicato il calcolo, fino a scoraggiarne l’utilizzo».
Sulla questione dei “voucher”, infine, Confapi, riprendendo la posizione espressa a livello nazionale, auspica «un intervento normativo sostitutivo valido ed efficace che possa regolamentare il lavoro accessorio al di là di degli abusi dello strumento che vanno evitati e combattuti. I “voucher”, nonostante venissero utilizzati in maniera percentualmente minima rispetto al monte ore del lavoro dipendente (Fabbrica Padova ha calcolato che incidevano per appena lo 0,53% del cumulo di 618 milioni e 944 mila ore lavorate in un anno dai dipendenti del territorio), garantivano una certa flessibilità utile alle Pmi per soddisfare le esigenze proprie di un mercato in continua evoluzione che aveva il pregio di far emergere il lavoro sommerso».
Sulla “manovra” governativa si levano gli strali di Unimpresa che si focalizza sul taglio delle tasse, promesso da Renzi e Gentiloni, ma mai concretamente realizzato. «Il taglio delle tasse deve essere fatto e subito: si tratta di un progetto improrogabile ed è pertanto inaccettabile constatare che il governo è incerto. Non è vero che la pressione è stata ridotta e nei prossimi anni imprese e famiglie saranno chiamate a versare sempre più denaro nelle casse dello Stato. Lo stesso Def approvato l’11 aprile dal Consiglio dei ministri certifica che non c’è stato» afferma il vice presidente di Unimpresa, Claudio Pucci, commentando le dichiarazioni del ministro per l’Economia, Pier Carlo Padoan, secondo il quale «lo sforzo per abbattere la pressione fiscale è avvenuto e dovrebbe continuare ad avvenire».
Secondo un’analisi sul Documento di economia e finanza realizzata dal Centro studi di Unimpresa, le entrate pubbliche nel 2018 sfonderanno il muro degli 800 miliardi. Si va incontro a una stangata fiscale da quasi 80 miliardi di euro tra il 2017 e il 2020. Nei prossimi quattro anni le tasse saliranno di 77,3 miliardi: dai 788 miliardi del 2016, quest’anno si arriverà a 799 miliardi per poi salire progressivamente fino agli 865 miliardi del 2020, con una impennata complessiva del 9,81%. «I numeri dicono sempre la verità e smascherano le prese in giro del Governo, delle quali siamo ormai stufi – sottolinea Pucci -. Sarebbe ora che ci fosse una reale revisione della spesa pubblica per tagliare sprechi eticamente intollerabili e per cancellare quelle tassazioni odiose – come il superbollo sulle auto prestazionali – che hanno distrutto un settore, così come è stato per la nautica. Il Governo deve intervenire anche sui tempi della giustizia, perché per chi investe in un’attività, specie dall’estero, non è tollerabile attendere oltre 4 anni per concludere il primo grado di un processo civile».