Prioritario non ritoccare l’Iva e tagliare la pressione fiscale generale
Ad oltre dieci giorni dalla sua presentazione ufficiale, i contenuti della manovra fiscale di primavera sono ancora tutt’altro che definiti nelle loro cifre e contenuti che continuano a ballare tra una proposta e l’altra, in un traccheggio generale che evidenzia la carenza di una chiara strategia politica in campo fiscale da parte del Governo in carica.
Anche la proposta di scambiare la riduzione del cuneo fiscale con un aumento delle imposte sui consumi è, di fatto, destituita di fondamento secondo lo studio condotto dall’Associazione artigiani di Mestre che evidenzia come negli ultimi 3 anni il cuneo fiscale sia diminuito in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro. Grazie all’introduzione del bonus di 80 euro, che grava sulle casse dello Stato per 8,9 miliardi l’anno, e all’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro dei dipendenti in forza all’azienda con un contratto a tempo indeterminato, che consente agli imprenditori di risparmiare 4,3 miliardi l’anno, il peso delle imposte e dei contributi previdenziali sul lavoro è iniziato a scendere.
Se poi si tiene conto anche degli sgravi contributivi introdotti per il 2015 e il 2016 dal Governo Renzi, misure comunque temporanee che si esauriranno entro dicembre 2018 e a beneficio delle imprese che hanno assunto dipendenti con un contratto a tempo indeterminato, la “sforbiciata” aumenta di altri 15 miliardi di euro per un totale di circa 28 miliardi, rendendo così meno impellenti ulteriori tagli al cuneo alimentati da un rincaro dell’Iva.
«Sebbene siano ancora troppo elevate e la riduzione sia insufficiente – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – le tasse sul lavoro stanno diminuendo. Ricordo, tuttavia, che i dati Ocse relativi al cuneo fiscale in percentuale del costo del lavoro dei dipendenti senza familiari a carico in Belgio, Francia e Germania sono superiori al nostro. Tagliare le imposte è sempre auspicabile, ma farlo attraverso uno scambio con un corrispondente aumento dell’Iva sarebbe sbagliato. Per appesantire le buste paga dei lavoratori è necessario aumentare la produttività che da noi è molto bassa per il semplice motivo che, rispetto a 40 anni fa, non abbiamo più le grandi imprese che altrove, invece, continuano a garantire, grazie al ricorso su larga scala all’innovazione, alla ricerca e a processi produttivi più moderni, stipendi più elevati».
Piuttosto, è maggiormente utile agire da subito per rinvenire le risorse necessarie per sterilizzare la clausola di salvaguardia che, altrimenti, farebbe scattare dal 1 gennaio 2018 l’aliquota Iva del 10% al 13% e quella del 22% al 25% per evitare di rendere meno competitiva l’offerta italiana, specie nel campo dei servizi e del turismo. Già oggi, segnala la Cgia, l’Italia, tra i principali paesi dell’area euro, ha l’aliquota ordinaria Iva più elevata: a fronte del 22%, in Spagna è al 21%, in Francia al 20% e in Germania al 19%.
Meglio sarebbe se Padoan e Gentiloni agissero sul lato delle uscite improduttive tagliando almeno in parte di quei 20 miliardi di euro di spesa individuata come inutile dal primo studio condotto da Cottarelli, oltre ad agire sulla riduzione dell’ammontare del debito pubblico agendo sulla valorizzazione di parte del patrimonio pubblico oggi poco sfruttato, mediante la creazione di un fondo sovrano da quotare poi sul mercato. Ciò anche per anticipare la tendenza alla crescita dei tassi d’interesse che gravano sul debito pubblico, evitando i dover sopportare maggiori oneri sul servizio.