Scandalo Itas: la compagnia si difende e giustifica il proprio operato

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ITAS nuova sede le albere frontale
Lunghissima nota ufficiale della società per respingere illazioni e sospetti sull’operato dei vertici

ITAS nuova sede le albere frontaleLo scandalo che ha travolto il direttore generale di Itas, Ermanno Grassi, accusato dalla Procura del Tribunale di Trento di truffa, estorsione e calunnia, addebiti che l’ex manager respinge con decisione, continua a dilagare, mettendo in allarme i clienti-soci e la rete degli agenti. La compagnia interviene con una lunghissima nota di precisazioni dopo giorni di attesa, evidenziando una gestione della comunicazione aziendale per lo meno approssimativa, specie in un frangente di crisi come questo.

I capi di accusa gravanti su Grassi, dimessosi spontaneamente e contestualmente licenziato in tronco dalla compagnia, riflettono una gestione disinvolta delle risorse della società, dove da alcune indiscrezioni emergerebbe un “cerchio magico” di fedelissimi formato da “divini” con il Grassi autodefinitosi “Zeus” al vertice. L’estorsione si riferirebbe al riconoscimento a Grassi di un bonus di 392.000 euro come frutto, secondo l’ipotesi accusatoria della Procura, di un ricatto all’attuale presidente della società, Giovanni Di Benedetto, già deputato DC per una breve legislatura troncata dallo scandalo di tangentopoli, e agente della stessa compagnia. Di Benedetto sarebbe stato fatto pedinare da un investigatore privato assoldato da Grassi che avrebbe poi utilizzato le informazioni raccolte per esercitare indebita pressione sulla prima linea del vertice. Di Benedetto ha smentito seccamente la ricostruzione affermando nella prima nota diffusa sull’argomento di «non essere mai stato oggetto di ricatto e/estorsione» e di avere appreso «delle attività di spionaggio» solo leggendo l’ordinanza del Gip. Che le cose all’interno dell’assicurazione non girassero tutte per il verso giusto è il fatto che «a seguito di sospetti», Di Benedetto abbia incaricato «una ditta specializzata di effettuare una bonifica del proprio ufficio», rinvenendo una cimice. 

Secondo la compagnia, «è falso e lontano dalla realtà» che la società abbia attribuito al manager un bonus di 392.000 euro. Tutto ruota attorno a un consiglio di amministrazione tenuto il 21 marzo 2016: nei giorni antecedenti alla riunione del consiglio, le indagini registrano alcuni sms dell’investigatore inviati a Grassi con «espressioni di giubilo». Itas evidenzia che in quel consiglio di amministrazione non venne stabilito il bonus per Grassi, ma più in generale «l’ammontare complessivo da accantonare per l’anno successivo per la retribuzione variabile di tutto il management». 

Quanto all’ipotesi di truffa, all’ex direttore generale sarebbero contestati sette episodi per un ammontare stimato attorno a 1,5 milioni di euro. Gran parte della cifra si riferisce alla ristrutturazione di un attico, di proprietà di Itas Patrimonio, affittato a Grassi e successivamente oggetto anche di un preliminare di vendita al manager per 910.000 euro come caparra confirmatoria pagabile in dieci rate. La ristrutturazione sarebbe avvenuta a spese della compagnia per una somma complessiva di circa 600.000 euro tra arredi e domotica. La compagnia ha precisato di essere venuta a conoscenza delle indagini «sui rapporti fra Itas e vari fornitori in merito ai costi di ristrutturazione dell’appartamento in uso al dott. Ermanno Grassi (contestualmente destinatario di una informazione di garanzia)» il 19 ottobre e di aver chiesto, quello stesso giorno «una relazione sui fatti» al direttore generale, di essersi costituita parte lesa e di aver avviato un’indagine interna conclusasi a novembre scorso segnalando che non erano «emerse condotte improprie». Pochi giorni prima Grassi si era «autosospeso da qualsiasi operazione di spesa». 

Il 23 novembre il consiglio di amministrazione dà mandato al presidente Di Benedetto di «verificare lo stato del rapporto fiduciario con il direttore generale». Non succede più nulla fino al 12 aprile scorso quando il consiglio prende atto delle dimissioni di Grassi e al contempo decide di licenziarlo. Il 5 aprile era arrivata l’ordinanza del Gip con la misura interdittiva «nei confronti del Grassi». L’11 aprile 2017 arriva anche l’esito della relazione indipendente affidata a Ernst & Young che a dicembre 2016 ha ricevuto l’incarico di «effettuare una ricostruzione delle operazioni e individuare eventuali transazioni anomale e relative responsabilità». Itas sottolinea che l’impianto accusatorio «prende le mosse dal licenziamento per giusta causa di una dipendente che» sempre a seguito di un audit interno «era risultata aver abusato delle proprie funzioni» di fatto addebitando spese private a Itas. La dipendente, stretta collaboratrice di fiducia dell’ex direttore generale, aveva chiamato in causa Grassi, che ha «rivendicato la propria totale estraneità ai fatti». E attorno a quest’ultima vicenda ruota l’ultimo capo d’accusa: calunnia. 

Anche se la società sottolinea con forza ai propri assicurati-soci che «l’intera vicenda riguardante l’ex direttore generale non compromette minimamente né la solidità della compagnia né gli obblighi assunti a tutela e copertura delle esigenze assicurative», e che in tutto l’impianto accusatorio imbastito dalla Procura la società assicuratrice risulta parte lesa, così come il suo presidente, emerge in tutta evidenza come una simile andazzo da parte dell’ex direttore generale (dagli acquisti di auto di lusso agli abiti ed accessori griffati per centinaia di migliaia di euro, allo stipendio di ben 6.200 euro al mese dell’ex moglie di Grassi scaricati direttamente o indirettamente sui conti della società) non sia possibile da realizzarsi in poco tempo e senza che nessuno se ne sia accorto. Qualcosa nella catena di comando e di gestione all’interno della società mutua non deve avere funzionato al meglio.