Corte dei Conti, il fisco italiano è da rapina

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«Pressione fiscale tra le più elevate d’Europa (42,9%) con un “total tax rate” per un’impresa al 64,8%, 25% in più della media UE». Casasco: «confermato allarme Pmi». M5S: «smentita la narrazione renziana»

peso tasse uomo macignoSecondo il rapporto 2017 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica – presentato al Senato – restano evidenti le molte criticità che attanagliano l’economia nazionale, ma trapela anche un po’ d’ottimismo guardano al futuro, nonostante un livello di pressione fiscale da rapina che frena la crescita.

«Nel 2016 il Pil – spiega la magistratura contabile – è aumentato dello 0,9%, a fronte di un negativo e non anticipato contributo delle scorte e di un andamento superiore alle attese degli investimenti (+2,9 per cento), sia in “Costruzioni” che in “Macchinari e attrezzature”: nel primo caso, si è finalmente usciti da una fase di recessione protrattasi per otto anni; nel secondo, si ha evidenza di una ripresa del processo di accumulazione non prevista in queste dimensioni e la cui assenza era stata comunemente indicata come il principale fattore di debolezza italiana. Al contempo, il rallentamento delle componenti estere della domanda si è rivelato meno pronunciato di quanto temuto e ciò con riguardo soprattutto alle esportazioni».

Restano tanti fattori che frenano il sistema Italia. E tra questi per la Corte dei Conti c’è certamente la pressione fiscale che è «tra le più elevate dei Paesi dell’Unione europea (42,9% del Pil), il “Total tax rate” stimato per un’impresa di medie dimensioni, testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte indirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti l’onere per l’omologo imprenditore dell’area UE/Efta. A sua volta, il cuneo fiscale, riferito alla situazione media di un dipendente dell’industria, colloca al livello più alto la differenza fra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l’onere che si registra mediamente nel resto d’Europa. Anche i costi di adempimento degli obblighi tributari che il medio imprenditore italiano è chiamato ad affrontare, sono significativi: 269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitore europeo. Un’esposizione tributaria tanto marcata non aiuta il contrasto all’economia sommersa e la lotta all’evasione (di qui le devianze altrettanto rilevanti in entrambi i fenomeni)». 

Guardando infine alla difficile situazione del debito pubblico, la Corte dei Conti ha sottolineato come per abbatterlo «il contributo delle dismissioni, certamente necessario, potrà difficilmente risultare determinante nel breve/medio periodo. E d’altra parte, in un contesto di crescita moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere eccessivamente costose. Occorre, quindi, porre il debito su un sentiero discendente, non troppo ripido ma costante, procedendo speditamente alle azioni di riforme strutturali per sostenere la crescita e migliorare, anche sotto questo profilo, le condizioni di sostenibilità della finanza pubblica». 

La relazione dei magistrati contabili conferma quanto da sempre detto da parte degli imprenditori, specie di quelli più piccoli che non delocalizzano e che non hanno holding nei paradisi fiscali: per il presidente di Confapi, Maurizio Casasco, «la Corte dei Conti ha certificato quello che denunciamo, inascoltati, da anni: l’economia del Paese non può ripartire se le nostre Pmi sono costrette a pagare allo Stato il 64,8% dei loro guadagni. Le tasse vanno ovviamente pagate. ma è impensabile continuare a comprimere il bisogno delle famiglie e degli imprenditori impossibilitati a utilizzare pienamente il frutto del loro lavoro. Sulle spalle delle piccole e medie imprese italiane, costrette a far fronte anche a una grande difficoltà di accesso al credito, c’è un eccessivo peso fiscale che le scoraggia a investire, ad assumere e, spesso, addirittura impedisce di poter continuare la propria attività». Per il presidente di Confapi è quindi necessario «intervenire e subito. Le imposte sui redditi da lavoro vanno alleggerite per incidere sul cuneo fiscale, fra i più alti d’Europa, e dare così prospettive alle imprese. Per farlo – conclude Casasco – occorrono politiche strutturali, meno burocrazia, ma soprattutto serve quel coraggio che finora è mancato». 

Sul coraggio che è mancato, ad iniziare dai 1.000 giorni di governo dell’era Renzi, interviene il M5S secondo cui «la narrazione renziana è in realtà un film horror. Le chiacchiere stanno a zero e la Corte dei Conti ci dice realmente come stanno le cose: cuneo fiscale troppo alto, salari schiacciati, “Total tax rate” sulle Pmi al 65% circa, contro il 40% medio della Ue. E’ un disastro». Per i deputati grillini «Renzi, Gentiloni e Padoan possono cantarsela come vogliono. Il re è nudo. E guardarlo non è esattamente un bello spettacolo. L’evasione fiscale resta altissima e i messaggi inviati dagli ultimi governi sono a dir poco contraddittori, soprattutto se consideriamo i ripetuti condoni come la “voluntary disclosur”e e la depenalizzazione di alcune condotte sul fronte tributario – insistono i portavoce Cinquestelle -. Ma la Corte dei Conti ci dice anche che usare il presunto recupero dell’evasione per coprire manovre di bilancio significa ricorrere a coperture aleatorie e incerte. In pratica, la magistratura contabile spiega chiaramente che la manovra correttiva da 3,4 miliardi su cui sta ragionando l’esecutivo è aria fritta. E l’Europa, cui noi contestiamo in radice l’approccio basato sull’austerity, non tarderà comunque ad accorgersene».