Limite a 1,7 milioni di tonnellate. Coldiretti e Confagricoltura protestano per l’ulteriore calo della remunerazione
Fissati i quantitativi di produzione e i prezzi di remunerazione per gli agricoltori per la campagna 2017 di produzione del pomodoro da conserva. Accordo che vede un leggero calo delle quantità contrattate, con pesanti penalità per chi supera il tetto, e un capitolato ad hoc per il prodotto biologico. Sono i punti salienti del nuovo accordo quadro sul pomodoro per il Nord Italia che agricoltori e industria di trasformazione hanno firmato a Parma.
I rappresentanti dei produttori (Apo Conerpo, Ainpo, Asipo e Apol) e delle imprese conserviere (Aiipa e Confapi) hanno raggiunto un’intesa sulla programmazione, fissando una fascia di neutralità produttiva di 2,4-2,5 milioni di tonnellate (nel 2016 era di 2,35-2,55 milioni). Le quantità di pomodoro contrattato saranno invece pari a 1,7 milioni di tonnellate: poco meno dell’anno scorso. Oltre la soglia di 1,7 milioni, per ogni tonnellata in più prodotta le Organizzazioni di produttori (Op) pagheranno comunque una penalità di 20 euro. Un disincentivo concordato tra le parti proprio per evitare surplus che potrebbero provocare il crollo dei prezzi.
Dove l’accordo lascia insoddisfatti i produttori è sul prezzo di liquidazione. «La chiusura dell’accordo 2017 per il pomodoro da industria, oltre che tardiva, è anche pessima, come risulta chiaramente dalla fissazione di un prezzo che non consente la remunerazione adeguata del prodotto e lascia solo lavoro e rischi a carico degli agricoltori – commenta il presidente di Coldiretti Emilia-Romagna, Mauro Tonello -. Il prezzo di 79,75 euro a tonnellata è perfino impronunciabile con l’introduzione di cifre centesimali che sanno quasi di presa in giro, come se si trattasse di oro, dove i centesimi fanno davvero la differenza. Nel settore del pomodoro, con la tabella dei difetti e degli scarti che viene applicata a seconda di quanto si vuol pagare, neanche un euro a cifra tonda riuscirebbe a far la differenza, figuriamoci i centesimi!».
Secondo il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, l’accordo «con le regole attuali non lascia spazio agli agricoltori. Le organizzazioni di prodotto – sostiene Tonello – non hanno nessun potere contrattuale e sono organismi che, sostenendosi economicamente sulla base dei quantitativi di pomodoro che contrattano, non guardano più la redditività e gli interessi dei produttori. Questi ultimi oggi si ritrovano un accordo firmato dopo che avevano già ordinato le piantine, lavorato i terreni e concimato. Quello che una volta veniva chiamato “oro rosso”, è diventata ruggine. Non so immaginare che cosa possa avvenire di peggio, perché l’Unione europea e noi agricoltori ci si decida a fare un passo indietro rispetto a strumenti come le organizzazioni di prodotto e gli organismi interprofessionali che con le regole attuali stanno strangolando gli agricoltori». «Spero – conclude il presidente di Coldiretti Emilia-Romagna – che almeno la cooperazione possa alla fine fare una liquidazione più remunerativa e spero anche che tutti gli agricoltori che ancora non hanno seminato cambino piano colturale, seminando altro dal pomodoro. Da parte nostra continueremo a lavorare per cambiare questo sistema e introdurre strumenti diversi, come il distretto, e regole diverse come l’introduzione dell’origine obbligatoria per tutti i derivati del pomodoro e non solo per la passata».
Sulla stessa lunghezza d’onda Confagricoltura Emilia-Romagna: secondo il suo presidente Gianni Tosi «ci risiamo, i produttori sono in ginocchio e l’Emilia-Romagna rischia di perdere una (altra) coltura strategica del territorio. Sempre peggio, da 92 a 79,75 euro a tonnellata negli ultimi due anni. Gli agricoltori non possono accettare una decurtazione del prezzo indecente e, oserei dire, inammissibile pari al 15%. La parte agricola esce con le ossa rotte dall’accordo quadro 2017 del Pomodoro da Industria del Nord Italia, chiuso a 79,75 euro a tonnellata che varranno, però, ed esclusivamente, con una produzione non superiore a 1.700.000 tonnellate. Sopra tale soglia, infatti, scatterà la penalità di 20 euro a tonnellata, ovviamente a carico del produttore. Un’ulteriore ammenda – aggiunge Tosi – inaccettabile per l’agricoltore, l’unico che continua a pagare il prezzo più alto e che si accolla di fatto la debacle finanziaria di una filiera produttiva inefficiente, perché guidata da Organizzazioni dei Produttori incapaci di programmare e tutelare gli interessi e la redditività delle aziende agricole. Ancora: che ruolo hanno giocato nella trattativa le strutture di trasformazione gestite da rappresentanti delle Op e del mondo agricolo se il prezzo concordato alla fine è risultato così penalizzante per i produttori?. E come se non bastasse, la tabella dei parametri qualitativi è soggettiva (ambigua) e lascia ampia libertà di interpretazione all’industria di trasformazione, tanto da permetterle di pagare il prodotto a prezzi stracciati e di gran lunga inferiori a quelli spagnoli, portoghesi e californiani».