La stima formulata dalla Cgia s’attesta a 65 miliardi di euro, pari al 3% del Pil. Renzi, oltre a non avere fatto il pellegrinaggio a piedi al santuario di San Senario, ha lasciato una situazione aggravata
A quanto ammonta il debito commerciale della pubblica amministrazione (Pa) nei confronti dei propri fornitori? Per la l’Associazione artigiani di Mestre (Cgia) questo interrogativo è diventato un’ossessione che non ha trovato ancora una risposta, sebbene siano trascorsi quasi due anni dall’applicazione della fatturazione elettronica che, secondo le promesse del ministero dell’Economia, doveva consentire alla Pa di quantificare con precisione e rapidità lo stock del debito.
In mancanza di dati ufficiali, l’unico istituto che stima da alcuni anni l’ammontare complessivo del debito è la Banca d’Italia. Premesso che gli stessi ricercatori di via Nazionale affermano che il grado di incertezza del risultato a cui sono giunti non è per niente trascurabile, le aziende private – a fronte di forniture, manutenzioni o lavori fatturati alla Pa – vanterebbero crediti per 65 miliardi di euro. Di questi, 31 sarebbero di natura fisiologica ovvero importi non ancora liquidati perché dalla data di emissione della fattura non sono ancora trascorsi 30-60 giorni) e 34 da imputare ai ritardi nei pagamenti (ovvero per i termini di pagamento decorsi). Dati sicuramente sottodimensionati e riferiti ancora al 2015.
L’ultimo aggiornamento disponibile (fermo ancora al 20 luglio 2015) evidenzia che i pagamenti hanno toccato quota 38,6 miliardi, pari a quasi l’86% delle risorse messe a disposizione. Seppure in diminuzione, l’importo del debito rimane ancora spaventoso e non ha eguali nel resto d’Europa.
«Nonostante i fornitori abbiano l’obbligo dall’inizio di aprile del 2015 di emettere alla Pa le fatture in via informatica – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – lo Stato non ha ancora una mappatura certa dei debiti a cui deve fare fronte. Certo, la lentezza nei pagamenti è dovuta in particolar modo a problemi di liquidità, ma quanti ne hanno le circa 873.000 imprese che lavorano per il pubblico che dopo aver eseguito una fornitura o una manutenzione devono aspettare anche 6 mesi prima di essere saldate?»
E a conferma delle difficoltà con cui lo Stato gestisce i rapporti commerciali con i propri fornitori Zabeo ricorda che «la Commissione Ue non ha ancora archiviato la procedura di infrazione avviata nel giugno del 2014 nei confronti dell’Italia a seguito della non corretta applicazione della direttiva Ue. La Pa, infatti, è accusata di saldare i conti in ritardo e non come previsto dalle regole Ue entro 30-60 giorni dall’emissione della fattura». Oltre a non pagare entro i termini stabiliti dalla direttiva Ue, Bruxelles ci ha comminato questa infrazione anche per altre due ragioni: «molti enti pubblici – conclude Zabeo – utilizzavano dei contratti dove venivano applicati degli importi dovuti agli interessi legali di mora per il ritardo nei pagamenti significativamente inferiori al limite imposto dalla direttiva europea: ovvero il tasso di riferimento Bce aumentato dell’8%. Inoltre, c’era il malcostume, spesso utilizzato ancora adesso da molte amministrazioni pubbliche, di posticipare i report che descrivevano lo stato di avanzamento dei lavori, allungando così in misura del tutto ingiustificata i tempi di pagamento».
Nel confronto internazionale, la Pa presenta un livello di debiti commerciali nettamente superiore. Dai dati forniti dall’Eurostat lo stock di debiti commerciali al 31 dicembre 2015 era in Italia di 48,9 miliardi di euro (pari al 3% del Pil). Va sottolineato che questi dati non includono i debiti ceduti con la clausola “pro soluto” a intermediari finanziari e della quasi totalità dei debiti riconducibili alla spesa in conto capitale. In Spagna, invece, lo stock ammontava a 14,5 miliardi (1,3% del Pil), in Germania a 37,4 miliardi (1,2% di Pil) e in Francia a 26,4 miliardi (1,2% di Pil).