Palazzo Ducale, presentata “Qohelet” di Peruz e il restauro dei portali della “Scala d’Oro”

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L’opera di Peruz si compone di 72 tavole quadrate ricoperte in foglia d’oro divise in due pannelli 

Di Giovanni Greto

 

palazzo ducale belliPalazzo Dualce a Venezia ha ospitato la presentazione di due importanti novità. La prima riguarda l’opera “Qohelet”, donata dall’artista Guido Peruz. Si tratta di settantadue tavole quadrate, divise in due pannelli, ognuno composto da trentasei, ricoperte da foglia d’oro, l’unico materiale che sempre l’autore utilizza.

In esse, come ha scritto Gabriella Belli, Direttore del Muve (Fondazione dei Musei Civici di Venezia), più di 23.000 lettere riportano il testo biblico di “Qohèlet”, figlio di Davide, re di Gerusalemme, contenuto nell’Ecclesiaste, che inizia con le parole “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Le lettere ricoprono la superficie del quadro, “sprofondate nella foglia d’oro, eppure così presenti nella rifrangenza della luce che dalle ampie finestre fa vibrare le superfici dei quadri, svelando nell’abbaglio del monocromo dorato il segno puntuto delle lettere che compongono il testo sacro”.

Il dono di Peruz, nato a Verona da genitori cadorini il I dicembre 1941, è stato inserito nell’antichiesa del Doge su due pareti speculari lontane rispetto alla facciata d’ingresso al luogo di culto. L’opera è stata collocata in due riquadri lasciati liberi da due tele di Jacopo Tintoretto – San Luigi, San Giorgio e la Principessa e Sant’Andrea e San Girolamo – databili tra il 1551 e il 1552, ora conservate alle Gallerie dell’Accademia, mentre non è stata più rintracciata una Resurrezione di Cristo, sempre del Tintoretto. 

Secondo don Gianmatteo Caputo, delegato patriarcale per i beni culturali del Patriarcato di Venezia, «così come il testo biblico, anche l’opera di Peruz entra con la sua assenza di immagine , di narrazione e racconto, lasciando smarrimento e “inconsistenza”, rese dalla trasparenza della luce dell’oro, dalla luminosità dell’opera, che sfugge alla nostra capacità di catturare e comprendere, usando un linguaggio non figurativo, percepibile ma non comprensibile, come un silenzio rispetto a tutto ciò che è detto dall’iconografia della residenza dogale».

L’altra novità riguarda il restauro dei due portali della “Scala d’Oro” reso possibile grazie all’imprenditore Paolo Tamai, titolare con la moglie Marina del marchio “Gli orti di Venezia”, che ha finanziato il recupero dei due portali, con relative griglie. «Siamo piccoli imprenditori del territorio  – ha detto Tamai – e abbiamo accettato una doppia grande sfida, lanciataci dalla dottoressa Belli. La bontà del nostro prodotto e la nostra intenzione hanno convinto il gruppo Eataly a sostenerci nel restauro del portale sommitale della “Scala d’Oro” (cinque mesi di lavoro conclusosi nell’agosto scorso). Quando si è presentata l’esigenza di recuperare anche il secondo portale (un intervento di restauro durato quattro mesi) ci siamo impegnati nel finanziamento dei lavori. In poco tempo siamo riusciti a coinvolgere la clientela della provincia di Venezia e alcuni marchi della grande distribuzione fra cui i supermercati Conad, la cui sede centrale è a Forlì, Punto Simply e gli Ipermercati del gruppo Iper Tosano di Verona, presente nel Veneto e nel bresciano. Per il futuro, vorremmo tentare di mantenere questo legame col territorio per dare continuità a questo tipo di interventi». 

palazzo ducale venezia portale scala doroIl restauro, affidato alla ditta veneziana Lares Srl che aveva già eseguito, all’inizio degli anni 2000, il restauro della restante parte della “Scala d’Oro”, ha spiegato Arianna Abbate, architetto e direttore dei lavori del Muve, è consistito sia in una lentissima e accurata pulitura dai depositi di sporco e nell’eliminazione di particelle carboniose, determinate dall’inquinamento di Venezia soprattutto negli anni Cinquanta.

I portali che si affacciano sull’Atrio Quadrato di Palazzo Ducale s’inseriscono cronologicamente in quella lunga serie di lavori di ristrutturazione iniziata nel 1483 nell’Ala Orientale del Palazzo e proseguita nel resto dell’edificio fino agli anni Sessanta del XVI secolo. Il progetto in particolare di una scala d’onore, interpellati architetti come il Sanmicheli e il Palladio, fu affidato infine a Jacopo Sansovino che ne realizzò la parte iniziale sotto i dogi Lorenzo e Girolamo Priuli che governarono tra il 1556 e il 1567. L’ultimazione dei lavori fu invece seguita dallo Scarpagnino dal 1559 e poi sotto il dogato di Venier. L’arco con lo stemma del doge Andrea Gritti era stato eretto in precedenza a partire dal 1538 ed in corrispondenza di una scala lignea provvisoria. La Scala d’onore fu denominata d’Oro per le fastose decorazioni della volta a botte eseguite in stucco e foglia d’oro a partire dal 1557 da Alessandro Vittoria e affrescate nei riquadri da Giambattista Franco. 

La Scala, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati alla privata abitazione del doge dal Palazzo di Giustizia, si articola su cinque rampe, l’ultima delle quali si affaccia sull’Atrio Quadrato, sorta di vestibolo delle sale in cui si riunivano i più importanti organi di governo e in cui avveniva il commiato tra senatori e ambasciatori. L’ambiente è caratterizzato dal soffitto intagliato e dorato che incastona dipinti del Tintoretto, mentre l’apparato architettonico è scandito da pilastri lapidei, compositi e scanalati.

I Portali a chiusura della “Scala d’Oro” sono coronati da due arconi sommitali, decorati a riquadri con bassorilievi finemente scolpiti che raffigurano scene fortemente simboliche che rimandano ad avvenimenti storici, commemorativi e ai temi cari ai Veneziani quali potenza, forza militare, saggezza e giustizia. In particolare sugli stipiti è rappresentato il leone nella versione raccolta “in moléca” in posizione frontale e accovacciato, in questo caso con il libro chiuso a simboleggiare la sovranità delegata e quindi delle pubbliche magistrature.

In un imminente futuro, ha concluso il suo intervento Arianna Abbate, «ci auspichiamo il restauro delle pareti e del soffitto».