Crollati soprattutto i collaboratori. Anche nella legge di stabilità 2017 poco o nulla per il comparto che si vede penalizzato particolarmente nella voce mobilità sul territorio
Gli anni della grande crisi economica hanno lasciato dietro di sé una strage che nessuno vede, ma che ha toccato una delle parti a maggiore valore aggiunto dell’economia nazionale, quella del lavoro autonomo e delle professioni. Dal 2008 ad oggi sono oltre 400.000 i lavoratori autonomi che hanno cessato l’attività, senza che nessuno si sia sentito di dare un sostegno o un ammortizzatore sociale. Quella che per lungo tempo è stata una zona di cuscinetto che ha assorbito le espulsioni dal mondo del lavoro dipendente ha cessato di funzionare.
Secondo i dati elaborati dall’Istat, dal 2008 il calo ha ridimensionato la compagine del lavoro autonomo e delle professioni ad una platea di 5.386.000 persone, spesso ad alta qualificazione e specializzazione, il 7,1% in meno rispetto ad otto anni fa. Il calo ha toccato in particolare gli uomini nella fascia di età tra i 25 e i 44 anni.
Il calo maggiore si è registrato tra gli autonomi che hanno almeno un dipendente (175.000 unità in meno rispetto al 2008) e tra i collaboratori (-119.000: in calo del 28%). Sostanzialmente stabili gli autonomi senza dipendenti e con più clienti, così come gli autonomi mono-cliente che anzi sono aumentati di 116.000 unità. Nell’ultimo trimestre, dopo l’aumento tendenziale del secondo trimestre 2016 (+1,1%), l’istituto di statistica registra un nuovo calo dell’1,4% (-75.000 unità) degli indipendenti. Tutto questo ha causato una spinta all’incremento della disoccupazione.
Tra le cause che hanno portato alla chiusura dell’attività, oltre al calo degli incarichi provenienti dal mondo della produzione e dei servizi, anche le difficoltà di proseguire in un contesto di pagamenti sempre più lenti e incagliati, il Fisco sempre più presente e vincolante, la posizione di palese svantaggio del lavoro autonomo italiano nei confronti di quello europeo per via dei troppi vincoli allo svolgimento dell’attività e alla deducibilità delle spese che un lavoratore autonomo deve sostenere, ad iniziare da quelle relative alla mobilità, con le spese per muoversi in automobile (elemento spesso indispensabile per qualsiasi lavoratore autonomo) ridotte ad una minima parte di quelle realmente sostenute. Cosa che genera maggiori costi e minore competitività sul mercato.
Un’azione lungimirante del governo, di chiunque sia chiamato a guidare il Paese, dovrebbe avere nei confronti delle professioni e del lavoro autonomo maggiore attenzione e rispetto, anche perché sono i lavoratori autonomi, con la loro flessibilità e capacità di leggere prima degli altri mutazioni di tendenza e di mercato, spesso gli innovatori, i precursori di nuove forme di crescita e di sviluppo di una nazione e del relativo benessere. Ostinarsi a non capirlo e a farne strame in quanto spesso singoli non organizzati non porta bene né al Paese ne a chi lo guida.