Emilia Romagna e Veneto sul podio per la qualità del servizio. Coletto: «ancora una conferma di quanto facciamo»
Sono sempre di più gli italiani che rinunciano alle cure. In questo spaccato d’Italia i primi costretti alla rinuncia sono i campani, con oltre 2 milioni, seguiti dal 1,7 milioni della Sicilia, e l’1,5 milioni del Lazio, 1 milione in Lombardia, e a seguire Puglia, Calabria, Piemonte e via via tutte le altre con la Val d’Aosta fanalino di coda. E’ la fotografia scattata dalla ricerca realizzata da Censis e Rbm Salute sui sistemi sanitari regionali.
Nei mesi scorsi un’altra ricerca del Censis aveva mostrato che complessivamente sono circa 11 milioni gli italiani costretti a rimandare o rinunciare alle cure mediche. In Campania e Sicilia in pratica oltre un abitante su tre rinuncia o ritarda le cure, circa il 20% della popolazione del Lazio. Di contro in Lombardia appena il 10% dei 10 milioni di residenti è costretta alla rinuncia.
Un quadro che si incupisce ancor più se si verifica l’indice di Buona sanità dei sistemi sanitari regionali con un’altra classifica presentata da Marco Vecchietti, consigliere delegato di RBM Assicurazione Salute nel corso del convegno “Secondo pilastro sanitario e bilateralità territoriale nella prospettiva della Riforma del Titolo V della Costituzione» che si è tenuto a Venezia. Nelle prime cinque posizioni al primo posto c’è la Lombardia, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, le province autonome di Trento e Bolzano. A chiudere ultime classificate Lazio, Sicilia, Basilicata, Sardegna e Calabria.
Per la prima volta, la ricerca svela il vero volto del panorama sanitario, facendo emergere anche i sistemi sanitari regionali più e meno efficienti ed efficaci. «Ciò che vorrei sottolineare – ribadisce Vecchietti – è che la “Buona salute” richiede finanziamenti ed investimenti adeguati. Le Regioni con una spesa sanitaria pro capite maggiore mediamente hanno liste di attesa più basse e livelli di soddisfazione dei cittadini più elevati».
Al convegno era presente anche Federico Gelli, responsabile sanità del Partito Democratico che con il referendum ormai alle porte ha detto: «con la riforma costituzionale se vincerà il Sì, avremo una sanità senza quelle derive federaliste che hanno portato in questi anni all’esplosione della spesa sanitaria e all’aumento della distanza tra regioni del Nord e del Sud. Il sistema salute trarrà quindi straordinari vantaggi e sarà in grado di garantire una maggiore equità ed uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Alla luce di quale sarà l’esito referendario dovremo poi riflettere sulle risorse che comprendono anche un’ingente quota di spesa privata, tema già inserito nella riforma della sanità voluta nel 1999 dall’allora ministro Rosy Bindi».
A stretto giro gli risponde l’assessore alla sanità del Veneto: «qualunque sia la classifica che viene pubblicata, il Veneto è sempre sul podio. Ne siamo orgogliosi e, non da oggi, siamo pronti a mettere a disposizione di tutti i cittadini le nostre migliori pratiche per avvicinare le diversità e portare verso l’alto gli standard nazionali. Serve far salire chi sta indietro, non frenare chi è avanti». Per Coletto «questi sono tutti elementi fondanti di un buon servizio sanitario, e non è un caso che si riscontrino in tutte quelle Regioni dove non si sprecano risorse, lavorando giorno dopo giorno alla ricerca del miglior equilibrio tra costi e prestazioni. E’ difficile, ma non impossibile si può fare, noi ed altre Regioni lo facciamo, e non occorrono ricette miracolistiche, ma concretezza e buon senso, a cominciare dall’applicare ovunque quei costi standard che noi utilizziamo come metodo e che andrebbero diffusi, anche imponendoli ope legis, in tutta Italia. Lo si faccia al più presto, da domani – conclude Coletto – e non serviranno operazioni di omologazione nazionale che, ben lungi dal diffondere il meglio, finiranno semplicemente per suddividere il peggio».