Fare i giochi in Italia in un contesto “sgarruppato” come quello della capitale significa solo mettersi nelle condizioni di sprecare oltre 11 miliardi di euro
Il premier Matteo Renzi e i vertici del Coni sono andati all’inaugurazione dell’edizione 2016 delle Olimpiadi di Rio de Janeiro con la convinzione di portare in Italia e a Roma l’edizione 2014 dei giochi olimpici. Un’operazione fallimentare fin dall’inizio.
Il problema è che l’Italia è in testa alla corsa della candidatura, visto che via via la lista dei pretendenti si è andata assottigliando. In lizza c’erano Amburgo, Dubai, San DiegoTijuana, Madrid e Boston. Al momento, oltre alla Capitale, sono rimaste in lizza solo Budapest, Parigi e Los Angeles.
Perché tante realtà, anche decisamente più blasonate (e meglio amministrate della Città Eterna) si sono ritirate? Il fatto è che con l’organizzazione e gestione delle Olimpiadi si perdono soldi a vagonate. L’ospitalità dei giochi vale solo per quelle poche settimane a cavallo della vincita della candidatura, dell’inaugurazione, dello svolgimento dei giochi e della loro chiusura. E chi ci guadagna sono solo un manipolo di persone, per lo più amministratori pubblici in strenua caccia di comparsate e di apparizioni in video o sui giornali più o meno patinati. Passata la sbornia, rimangono solo i conti difficili da fare quadrare e, soprattutto, da pagare. Gli esempi del passato sono di tutta evidenza: per ripianare il deficit derivante dai giochi olimpici del 1968 i contribuenti di Grenoble hanno dovuto pagare una tassa speciale fino al 1992; quelli di Montreal e del Quebec lo hanno fatto per 30 anni, dal 1976 al 2006. A Barcellona non è andata meglio: i contribuenti hanno versato 1,7 miliardi di tasse in più per i giochi del 1992, mentre la Grecia per le Olimpiadi di Atene del 2004 ha posto le basi per la sua odierna crisi economica. Enormi le cifre in gioco: Atene ha speso 13,8 miliardi di dollari, Barcellona 16,4, Londra nel 2012 11,4, Rio 11,1. Altra storia per Pechino nel 2008 che ha speso ben 45 e nella russa Sochi, nei giochi invernali più costosi della storia addirittura 51 miliardi. Ma in questi due ultimi casi, in gioco era l’immagine e la grandeur di due stati che volevano fare pesare la loro potenza.
Chi studia le ricadute che portano le Olimpiadi ad un territorio lancia moniti: nella maggior parte dei casi, i giochi sono una partita che finisce in perdita per le nazioni ospitanti. I benefici economici sono di breve periodo o del tutto inesistenti. L’impatto turistico è concentrato in pochi giorni e lascia in eredità solo una mole di problemi. Spesso, poi, le strutture realizzate per ospitare le varie discipline olimpiche a giochi conclusi languono nel più totale abbandono, con buona pace dello spreco del denaro dei contribuenti.
Che l’operazione Roma Olimpica sia un’operazione suicida, lo dice perfino il comitato promotore presieduto da un certo Luca Cordero di Montezemolo, che con i grandi flop pare avere una certa dimestichezza. Si parla di costi per 11,5 miliardi di euro di costi difficilmente ammortizzabili, nonostante gli interventi di Governo, Coni, Comitato olimpico internazionale e sponsor vari. Un fardello che andrebbe ad aggiungersi al già pesante fardello di 15 miliardi di debiti che grava sulla municipalità romana, oltre agli atavici problemi di capacità e qualità nella gestione della cosa pubblica. Le stime ad oggi parlano di costi per 11,5 miliardi di euro a fronte di entrate per 3,4 miliardi, con un deficit previsto già da ora di quasi 9 miliardi di euro. Cifra molto probabilmente destinata a lievitare di un buon 30% a bilanci chiusi.
Già l’esperienza milanese di Expo 2015 non è stata delle più brillanti sia per l’organizzazione che per i risultati economici. I Mondiali di nuoto di Roma del 2009 sono ancora lì in tutta la loro evidenza (negativa). Per non dire dei Mondiali di calcio di Italia 90…
Vale veramente la pena di buttarsi giù dal burrone per ospitare delle Olimpiadi in Italia nel 2024, quando probabilmente Renzi sarà solo una postilla nei libri di storia? Ai posteri l’ardua sentenza.