Federalismo differenziato: benefici per oltre 10 miliardi di euro all’anno valorizzando le regioni virtuose e mettendo sotto “tutela” quelle non virtuose


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Secondo Unioncamere del Veneto maggiori competenze ed autonomia a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna produrrebbero 5,8 miliardi di Pil in più all’anno; dall’accentramento delle Regioni non virtuose arriverebbero risparmi per altri 4,4 miliardi 

 

unioncamere pregi veneto autonomo bellati ciambetti pres unioncamereOltre dieci miliardi di euro di benefici all’anno, con conseguente diminuzione del debito pubblico, derivanti da un aumento del Pil grazie alla valorizzazione delle regioni virtuose e da un risparmio di spesa mettendo “sotto tutela” quelle non virtuose, che verrebbero responsabilizzate senza procedere a tagli. Passano da un “modello integrato” i benefici dell’applicazione del federalismo differenziato nell’articolo 116 della Costituzione. La proposta è contenuta in uno studio, illustrato a Palazzo Ferro Fini da Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto, e Unioncamere Veneto, rappresentata dal presidente Giuseppe Fedalto e dal segretario generale Gian Angelo Bellati, realizzato nell’ambito dell’Osservatorio sul federalismo e la finanza pubblica.

Nel 2015 il debito pubblico ha raggiunto la cifra record di 2.171 miliardi di euro, pari al 132,7% del Pil con un aumento del +1,7% rispetto al 2014 (a far lievitare il debito è stata l’amministrazione centrale, mentre amministrazioni locali ed enti di previdenza hanno sempre fatto registrare una contrazione). L’analisi dell’indice di virtuosità, ricavato dall’intreccio di dieci indicatori che forniscono informazioni sulla qualità di gestione della macchina amministrativa e sull’impego delle risorse, fa emerge una mappa regionale di virtuosità che – escluse le regioni a statuto speciale –, posta 100 la media nazionale, fa di Lombardia (132), Veneto (128) ed Emilia Romagna (125) le tre regioni più virtuose d’Italia. Liguria, Umbria, Marche, Toscana e Piemonte sono sopra l’indice medio ma con valori significativamente più bassi; Puglia (88), Abruzzo (82), Lazio (80), Calabria (79), Campania (78), Basilicata (74) e Molise (46) risultano invece le regioni non virtuose. 

Ne deriva che, per l’efficienza del paese e lo sviluppo dei territori, le regioni virtuose (più efficienti avendo dimostrato la loro capacità amministrativa) dovrebbero ottenere ulteriori competenze e funzioni legislative ed amministrative in base all’art. 116 della Costituzione; al contrario, le regioni non virtuose dovrebbero cedere competenze e risorse a livello centrale in un’ipotesi di «tutela» delle competenze allo Stato. 

Le 14 competenze che andrebbero decentrate dallo Stato alle regioni virtuose sono istruzione scolastica, istruzione universitaria, tutela della salute, tutela dei beni culturali, ricerca scientifica ed innovazione, tutela dell’ambiente, ordinamento della comunicazione, infrastrutture, governo e territorio, lavori pubblici, energia, previdenza complementare ed integrativa, potere estero, protezione civile. L’assegnazione delle nuove materie, che comporterebbe un decentramento di spesa di 11 miliardi di euro, verrebbe accompagnata dall’attribuzione di risorse proprie sufficienti al loro finanziamento: gli enti territoriali dovranno farsi carico anche delle competenze amministrative connesse a tali materie e per il bilancio statale non ci sarebbe alcun aggravio di costi. 

Una volta a regime, questo federalismo differenziato consentirebbe alle regioni virtuose di ottenere un +2,8% di Pil, pari a 5,8 miliardi di euro all’anno (pari a 17 miliardi di euro in un triennio: 10.302 milioni Lombardia; 3.769 milioni Veneto; 3.372 milioni Emilia Romagna). Il sistema della «tutela» statale nelle regioni non virtuose prende in esame tre diversi interventi (pareggio di bilancio ed equiparazione delle retribuzioni del personale sanitario e non sanitario) e comporterebbe un risparmio di spesa di ulteriori 4,4 miliardi di euro all’anno. Complessivamente, dai 5,8 miliardi derivanti dalla maggiore autonomia delle regioni virtuose e dai 4,4 miliardi della «tutela» centrale nelle Regioni non virtuose, si avrebbe un beneficio di 10,2 miliardi di euro all’anno. 

«L’ondata di critiche nei confronti delle regioni ha contribuito a rafforzare le tendenze verso un nuovo accentramento dei poteri e delle risorse pubbliche, fino a sfociare in un ridimensionamento della sfera delle competenze regionali – sottolinea Giuseppe Fedalto, presidente Unioncamere del Veneto –. In realtà non tutte le regioni sono inefficienti: alcune presentano i conti in ordine e hanno contribuito in maniera significativa al risanamento della finanza pubblica nazionale, ma sono molto frequenti anche i casi di regioni in cui prevalgono gli sprechi. L’analisi dell’indice di virtuosità regionale e delle politiche nazionali di razionalizzazione utilizzate finora mettono in luce la necessità di adottare un “modello integrato” volto a promuovere il decentramento delle risorse nelle regioni virtuose e a ridefinire centralmente, in modo più qualificato, i servizi pubblici nelle regioni non virtuose. Il nuovo assetto finanziario nazionale – continua Fedealto – dovrebbe quindi accompagnarsi ad una nuova ridefinizione delle funzioni e delle entità finanziarie dello Stato centrale, specialmente in alcune aree del Paese, e a una gestione più responsabile delle risorse. Nelle elaborazioni proposte è stato evidenziato come, a costo zero, in seguito all’applicazione dell’autonomia differenziata nelle Regioni virtuose e alla miglior gestione statale delle risorse pubbliche delle Regioni non virtuose l’economia delle singole Regioni e tutta l’economia italiana ricaverebbero maggiori benefici». 

Secondo il presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, si tratta di «una tappa importante di un percorso di approfondimento iniziato nel 2007 con lo studio sui costi del non-federalismo. Oggi in Italia si parla di modificare la Costituzione, una riforma che investe le regioni e il decentramento comprimendo le economie e deresponsabilizzando gli enti locali. Lo studio di Unioncamere e dell’Osservatorio regionale sul federalismo e la finanza pubblica dimostra che l’ipotesi di avere il Veneto come regione autonoma è assolutamente perseguibile. Non è una boutade politica ma un obiettivo perseguibile dal punto di vista economico». 

Secondo Ciambetti «i dati di Unioncamere consentono di evidenziare come un Veneto autonomo aumenterebbe in Italia il livello di concorrenza e genererebbe maggiore competitività. L’indagine ha dimostrato come fin dagli anni Settanta l’accentramento fiscale ha portato a un aumento del debito pubblico centralizzato. Negli ultimi anni, e con maggior evidenza a partire dal 2010, l’indebitamento di regioni e del decentramento si è pressoché annullato contestualmente all’esplosione del Debito pubblico nazionale. Sono numeri importanti che dimostrano l’equilibrio dell’amministrazione pubblica veneta ma anche i limiti degli sprechi e della malagestione vuoi nelle regioni meno virtuose, vuoi a livello centrale»