L’Italia di Renzi sempre più asfittica con Pil in crescita stentata e deflazione in volata

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matteo renzi mano alzata
Anche se i consumi interni ripartono, l’export è in frenata. Sempre più probabile una manovra estiva sull’Iva per fronteggiare la crescita continua del debito pubblico (+108 miliardi di euro negli ultimi due anni)

 

matteo renzi mano alzataNonostante l’ottimismo di facciata propalato a piene mani dal premier Matteo Renzi in ogni dove, l’Italia è sempre più asfittica, con un Pil che non decolla (secondo i dati dell’Istat, se il ritmo della crescita prosegue così a fine anno si raggiungerà un magro +0,8-1%) e con un’inflazione che si è trasformata in deflazione galoppante (-0,5%), per non parlare del debito pubblico che, sotto il governo Renzi, è cresciuto di altri 108 miliardi di euro, giungendo a marzo scorso alla cifra monstre di 2.228,7 miliardi di euro.

Il problema dell’Italia è solo interno, visto che gli altri paesi trottano, con una media del +0,6% su base trimestrale (il doppio dell’Italia) e con una Germania che fa pure più del previsto, con un +0,7%. Pure la Spagna, paese che partiva da una situazione economica peggiore di quella italiana, se la passa bene. Se il Pil italiano non cresce, se la deflazione corre, se il debito pubblico si allarga causa l’incapacità del governo romano di ridurre la spesa (le amministrazioni locali in questo caso sono virtuose), se Bruxelles inizia a ribadire la necessità “di fare per bene i compiti” rimettendo a posto i conti, per gli italiani si prospetta sempre più una bella manovra d’estate per la correzione dei conti pubblici, ad iniziare da un ritocco sull’Iva facendo scattare le clausole di salvaguardia già decise per il 2017, che potrebbero essere anche anticipate per incamerare qualche denaro in più. Ma se così fosse, il rischio dietro l’angolo è di strozzare sul nascere l’accenno di ripresa dei consumi interni, perché crescerebbero, con inevitabili ripercussioni sui consumi, sia l’Iva standard (dal 22% si passerebbe al 25%) che quella agevolata (dal 10% al 12-13%, con cancellazione di quella ridotta al 4%).

Manovra resa obbligatoria anche dal fatto che il rating internazionale del Belpaese è ad un passo da quello dei titoli spazzatura: dovesse calare di un gradino dall’attuale BBB-, i Bot e Btp emessi dallo Stato non potrebbero più essere acquistati dall’Eurobanca di Mario Draghi, con tutte le conseguenze del caso per calmierare la speculazione internazionale che già pregusta nuovo sangue.

Il bello (o brutto: dipende dai punti di vista, ovviamente) è che tutto ciò avviene in una situazione di crescita del gettito, visto che gli italiani nel primo trimestre 2016 hanno versato al Fisco ben 4 miliardi di tasse in più rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. Il tutto nonostante che il Premier Gigliato dica di avere tagliato sulle tasse. E se l’arcigno ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che ha rotto la tregua con la Bce tornando a ripetere che i tassi bassi sono per l’Europa una sciagura, dovesse avere la meglio su Draghi, per i conti del Belpaese sarebbe la fine, con il servizio al debito nuovamente in decisa crescita dopo un periodo incredibilmente lungo di bonaccia che ha consentito notevolissimi risparmi per il bilancio pubblico, ma che non si sono trasferiti in modo stabile e permanente sull’equilibrio dei conti interni causa l’incapacità dei governanti degli ultimi anni di gestire per bene la cosa pubblica con una visione di medio lungo termine.

Questo non è tutto: il continuo incremento del debito pubblico sotto l’azione dei tre governi non eletti (Letta, Monti, Renzi) che si sono succeduti dopo la cacciata da palazzo dell’ultimo governo democraticamente eletto, potrebbe portare anche alla riapertura della posizione d’infrazione per il mancato rispetto degli obiettivi di consolidamento e riduzione del debito pubblico. Per Renzi sarebbe lo smacco finale, difficile da giustificare agli occhi degli elettori italiani.