Negli ultimi 60 anni, la popolazione italiana è cresciuta di 12 milioni di persone, ma la montagna ne ha perse 900.000. La montagna può riservare molti sorprese e vantaggi per tutto il Paese
Dal dopoguerra ad oggi i territori di montagna hanno subito “spopolamento e abbandono”: se la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900.000, con la crescita che si è concentrata in pianura (8,8 milioni di residenti) e collina (circa 4 milioni). Questo uno dei dati che emerge dal rapporto “La montagna perduta” realizzato da Cer (Centro Europa Ricerche) e Tsm (Trentino school of management), presentato al Senato, realizzato da un gruppo di lavoro composto da Gianfranco Cerea, Stefano Fantacone, Petya Garalova, Mauro Marcantoni e Antonio Preiti.
Il rapporto fa presente, tra l’altro, che «lo spopolamento delle aree montane è un processo non uniforme, perché in due regioni, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta, la popolazione è aumentata. La dotazione di infrastrutture, un’accessibilità maggiore ai servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, trasporti), una qualità della vita civile elevata ne hanno determinato la crescita». Nel documento si sottolinea come «la montagna non è condannata dall’orografia, ma dalle politiche pubbliche. La montagna con politiche pubbliche adeguate e favorevoli può ambire a un ruolo di primo piano nello sviluppo del Paese».
Secondo il direttore di Tsm, Mauro Marcantoni, «l’estinzione della montagna è un’emergenza»; che però, come dice il direttore di Cer, Stefano Fantacone, «può riservare nuove potenzialità». «Se la montagna è messa nelle condizioni di attivare politiche adeguate – osserva Ugo Rossi, presidente della provincia autonoma di Trento – ciò che è problematico può trasformarsi in una spinta allo sviluppo. Solo così la montagna può raggiungere una qualità della vita civile sufficientemente elevata».
Secondo Marcantoni «mentre sul divario Nord-Sud del Paese e sui suoi differenziali di sviluppo si è ragionato molto, su quello tra pianura e montagna le ricerche e le riflessioni sono state molto meno frequenti ed enfatizzate. Eppure, se consideriamo il principale indicatore di “vitalità” di un territorio, cioè la presenza di popolazione, risulta del tutto evidente che il rischio di “estinzione” della montagna e la cancellazione della sua funzione primaria nell’identità territoriale, economica e sociale del Paese, sia una vera emergenza». Marcantoni cita aziende quali «Guzzi, Loacker, realtà industriali che si sono insediate e radicate in ambienti in teoria ostici. Perché ci sono realtà che crescono e altre che sembrano uguali e che invece calano? Ci sono delle ragioni: la prima è riconoscere le diversità, non si possono trattare in modo uguale realtà che non sono uguali. Si fa strada l’idea che l’urbanizzazione abbia raggiunto ormai soglie preoccupanti, le periferie non sono un luogo rassicurante. L’inclusione è un concetto di sviluppo equilibrato e di maggiore valorizzazione del nostro patrimonio».
Le conclusioni sono state affidate a Enrico Borghi (presidente intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della montagna), Ugo Rossi (presidente Provincia di Trento) e Gianclaudio Bressa (sottosegretario Affari regionali). A coordinare il dibattito Maria Concetta Mattei, giornalista Rai. Stefano Fantacone ha aggiunto che «la Montagna può riservare nuove potenzialità. Siamo abituati a misurare in tanti modi il divario tra il Nord e il Sud del paese, ma qui siamo di fronte a una distanza ancora più imponente, perché la Montagna è stata sacrificata all’espansione della pianura. Lo studio però dimostra che dove la montagna è forte sul lato delle infrastrutture e delle politiche economiche, crea addirittura più ricchezza della pianura. Oggi la montagna può riservare nuove potenzialità che valgono per tutta l’Italia».