Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia sulla criminalità organizzata in Italia

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carabinieri auto elicottero azione FbySH 1A NordEst la situazione è tranquilla in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia. Qualche preoccupazione in Veneto

La relazione annuale della Direzione nazionale antimafia sulla criminalità organizzata in Italia appena diffusa presenta luci e ombre nel Nordest, con Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sostanzialmente indenni, mentre qualche problema sorge in Veneto. Ecco i dettagli per regione della relazione stilata dal consigliere Roberto Pennisi incaricato di valutare questa parte del territorio nazionale.

Trentino Alto Adige
Il Trentino non è interessato da infiltrazioni della criminalità organizzata, se non per un caso che ha ‘lambito’ Rovereto. Le analisi “sulla presenza o infiltrazione nel tessuto sociale e economico di organizzazioni criminali o esponenti di esse, ovvero di investimenti, di matrice mafiosa (calabrese o siciliana) o camorristica hanno dato esito negativo”.
“Va solo rilevato – si legge nella relazione – che il territorio in questione, in particolare il comune di Rovereto, è stato lambito dagli effetti della attività criminale di una organizzazione di matrice camorristica operante nel Veneto e investigata dalla Dda di Venezia, nell’ambito di procedimento penale per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata alla commissione di reati di estorsione, usura, sequestro di persona, detenzione di armi e altro, ai danni di circa un centinaio di vittime, soprattutto persone svolgenti attività imprenditoriale in diversi centri della regione e nel limitrofo Trentino. Quanto rilevato dagli investigatori in territorio trentino è stato immediatamente rapportato alla Procura della Repubblica di Rovereto che ha provveduto a trasmettere gli atti alla competente Direzione Distrettuale Antimafia.
Quanto all’attività di monitoraggio e prevenzione, nella relazione viene evidenziato come “il tipo di indagini svolte riguarda soprattutto attività di contrabbando e traffici di narcotici che vedono quali indagati-imputati soggetti di nazionalità straniera, e pochi residenti nel Trentino con ruoli del tutto marginali”, quindi “di regola difettano i presupposti per le iniziative in materia di misure di prevenzione, notoriamente le più sintomatiche della presenza sul territorio di infiltrazioni di tipo mafioso”.
Sempre secondo la relazione, “le indagini relative al narcotraffico, peraltro segnalano l’esistenza di un procedimento (in ordine al quale vi è stata nella Dna una riunione di coordinamento fra le Dda interessate), che vede indagati soggetti sud-americani e italiani residenti in diverse zone del nord e sud Italia, impegnati a organizzare, attraverso la creazione di aziende di import-export, l’importazione di cospicui quantitativo di cocaina dalla Colombia in Italia”. L’indagine – viene sottolineato – “è significativa non solo per le sofisticate tecniche investigative messe in opera, ma anche perché riguarda anche narcotrafficanti calabresi che potrebbero essere inseriti in uno dei ‘cartelli’ per l’importazione di grosse partite di sostanze stupefacenti, alla cui costituzione spesso le cosche mafiose calabresi ricorrono per gli importanti approvvigionamenti di cocaina proveniente dal Sud-America, anche interagendo con altre formazioni criminali nazionali e estere”.


carabinieri auto 1Friuli Venezia Giulia
Aumenta il numero dei cittadini cinesi segnalati per contraffazione, ma cala il volume del contrabbando di sigarette, seppure la regione rimanga uno dei tradizionali poli di questa attività in Italia. Se nel 2009 non era stato segnalato alcun cittadino cinese, nel 2010 il fenomeno si è manifestato, con 13 persone segnalate. Il numero ha subito un’impennata l’anno scorso e, secondo i dati elaborati, nel solo primo semestre 2011 sarebbe salito a 16 persone. Un posto di media classifica nell’analisi su scala nazionale. Nemmeno una decina, invece, i cittadini di origine cinese segnalati per immigrazione clandestina. Per quanto riguarda il contrabbando di sigarette, se nel 2008 il Friuli Venezia Giulia figurava tra le prime cinque regioni per sequestri compiuti, dall’anno successivo il volume del fenomeno è calato, anche se la regione rimane uno dei poli territoriali specializzati in reati associativi legati al contrabbando.


Veneto
Secondo il procuratore della Direzione nazionale antimafia (Dna), il Veneto non è esente da infiltrazioni mafiose, soprattutto nel tessuto economico. In buona parte del Veneto (esclusa l’area più a ridosso della Lombardia e del Lago di Garda), “per ragioni allo stato inspiegabili”, si è lasciato campo libero ad organizzazioni criminali di tipo mafioso diverse dalla calabrese, nell’ambito di quella che può definirsi una “strategia di delocalizzazione del crimine organizzato” che nel Veneto ha riguardato la camorra campana.
Proprio riguardo alla camorra, un’indagine, svolta tra settembre 2010 e marzo 2011, si è conclusa con 27 arresti, 25 dei quali per associazione per delinquere di stampo mafioso, collegata al ‘clan dei casalesi’, in cui i singoli associati si sono avvalsi della forza “di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà da esso derivante per commettere delitti di ogni genere” (detenzione e porto di armi, usura, sequestro di persona, estorsione, esercizio abusivo dell’ attività finanziaria) per acquisire il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni. Tutto ciò per finanziare detenuti in Campania. E’ stato accertato che l’organizzazione svolgeva abusivamente a Padova un’attività d’intermediazione finanziaria e di riscossione di crediti, assoggettando ad usura 50 imprenditori veneti, molti vittime di estorsioni e costretti a cedere ad un prezzo molto inferiore al reale le loro aziende, partecipazioni societarie, beni immobili e mobili. Il gruppo criminale era emanazione della più potente organizzazione camorristica campana che ha esportato in Veneto tattiche criminali uguali a quelle usate nel territorio d’origine per seminare il terrore e di diffondere l’omertà.
Altro dato di rilievo, segnalato dalla Dna, è quello di “approfittare da parte dei camorristi della crisi economica per impadronirsi delle imprese piccole e medio-piccole in difficoltà o le cui difficoltà vengono aggravate dagli stessi ‘soccorritori’. E se ciò è grave in terra lombarda, ancor più pericoloso è in quella veneta, la cui economia si basa su aziende di quel tipo che ne costituiscono la struttura portante. Quello che ha colpito è stato l’elevato numero di imprenditori colpiti ed ancor di più il silenzio delle vittime. Al punto che gli inquirenti hanno dovuto infiltrare agenti sotto copertura per sfondare il muro della omertà”.
Un dato preoccupante – indicato dalla relazione – è la scoperta, in un’altra inchiesta, che il principale indagato, al quale era stata sequestrata a Palermo l’azienda, si era trasferito a Treviso, aprendo una società, intestata alla moglie, operante nello stesso settore. Il padre dell’indagato era stato arrestato perché considerato uno dei prestanome del boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano. I coniugi, trasferitisi in Veneto, avevano aperto una ditta che, nel settore dei lavori pubblici, si è aggiudicata gare con ribassi tali (oltre 45%) da eliminare ogni tipo di concorrenza. Contestualmente, la società ha acquistato immobili nella Marca (investiti 1.500.000 di euro in soli 2 anni). La ditta, come scoperto dalla Dna, serviva a mascherare i veri interessi: a parte le prime gare vinte, era sostanzialmente inoperante, mentre la coppia continuava a fare investimenti immobiliari, mantenendo stretti contatti con persone a Palermo, dove gli indagati andavano frequentemente. Il principale indagato poi, volendo salvare alcuni beni sfuggiti al sequestro o volendo continuare a reinvestire come prestanome per Cosa Nostra, si è recato in una zona dove non era conosciuto, aprendo una società di comodo e reinvestendo i capitali in operazioni immobiliari intestati a persone di sua fiducia. Appare chiaro, conclude la Dna, “l’altro aspetto della presenza del crimine organizzato nel territorio veneto, e cioè quello dei reinvestimenti silenziosi dei proventi dell’attività mafiosa svolta in diverso territorio, e segnatamente in quello siciliano d’origine ed, in particolare, potrebbero essere il segnale della riemersione in forma economico finanziaria di Cosa Nostra in zone diverse da quelle ove vive ed opera secondo i classici canoni della sua azione criminale”. Un allarme da non sottovalutare, ad ogni livello, dell’economia, della politica e dell’imprenditorialità veneta.