Veneto, presentato il rapporto statistico 201

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Zaia: «la capacità d’impresa è la prima risorsa della Regione»

 

banner rs2015Presentato a Padova al Centro culturale San Gaetano il Rapporto Statistico 2015 della regione del Veneto intitolato “Energie”. «Le prime energie da liberare e valorizzare sono i nostri imprenditori, che attualmente sembrano essere dei cittadini in libertà vigilata, strangolati come sono dalla burocrazia e da un indice di tassazione globale che raggiunge ormai il 68% – ha detto il governatore Luca Zaia -. Se il Veneto ha raggiunto nel 2014 i 170 miliardi di prodotto interno lordo, il merito è delle oltre 500.000 partite Iva che qui producono e lavorano».  

«Il Veneto, per continuare a crescere, ha bisogno di meno regole e di vedersi riconosciuto quel modello di piccola e media impresa e di distretti industriali che ha dimostrato di saper reggere anche ai colpi della crisi”, ha sottolineato Zaia, in dialogo con la giornalista del Sole 24 Ore Katy Mandurino. «Nel programma elettorale, che ho depositato in Corte d’Appello prima delle elezioni proprio per dare valore all’impegno preso con i veneti, c’è un preciso piano di sostegno alle imprese, dal fondo di rotazione all’utilizzo dei fondi europei. A che punto siamo? Stiamo andando avanti, ma il sistema ci rema contro. Difficile ristrutturare, razionalizzare, chiudere gli enti pubblici non più utili, in un Paese come il nostro dove ben quattro commissari alla spending review hanno gettato la spugna».

Il presidente si è soffermato, in particolare, sulle riserve che la Corte di Conti regionale ha espresso nel giudizio di parificazione del bilancio della Regione: «la magistratura contabile ci censura perché abbiamo aiutato la finanziaria Veneto Sviluppo ad aiutare le imprese in crisi? E a cinque di anni dall’alluvione del 2010, su 10.040 pratiche gestite e 362 milioni impegnati con massima trasparenza, senza incorrere in alcuna inchiesta, i giudici contabili muovono rilievi su 86.000 euro spesi in consulenze? Non ce l’ho con i magistrati, ma questi formalismi non aiutano a far crescere il Paese. Bene che un organo terzo analizzi il bilancio della Regione, ma serve che sappia dare anche indicazioni preventive e sappia accompagnare tempestivamente i processi di formulazione del bilancio e le decisioni di spesa».

E sempre in riferimento alle difficoltà di “liberare” le “energie” del Veneto, il presidente ha aggiunto l’esempio del patrimonio pubblico: «solo in Veneto abbiamo censito oltre 100 milioni di immobili e proprietà regionali. Ma in 5 anni siamo riusciti ad alienare beni solo per 12 milioni di euro. Perché? Le regole per le aste dei beni pubblici impongono una burocrazia infinita, una litania di stime, passaggi e attese che non ci consentono di stare sul mercato. Al governo lancio un appello: “Diteci come fare per vendere il nostro patrimonio inutilizzato”».

Quanto alle banche popolari e di credito cooperativo, altro asset del tessuto imprenditoriale della regione, il presidente Zaia è tornato  ed esprimere la propria preoccupazione per il futuro di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza e per l’effetto “domino” che si è innescato. «Sono preoccupato per il patrimonio dei veneti, di quei 205.000 soci che hanno investito in queste banche e che hanno già perso 2 miliardi e mezzo sul valore delle loro azioni  – ha sottolineato Zaia -. In questa operazione si stanno impoverendo i veneti e le aziende che si sono indebitate per avere un prestito da queste banche. Tre anni fa avevo sostenuto e promosso la proposta di fusione tra i due istituti di credito avanzata dalla Banca d’Italia: oggi avremmo avuto il vantaggio di avere un nuovo soggetto bancario, con basi più solide, tutelato e protetto dalla Banca d’Italia. Invece, per una serie di dinamiche, si è preferito non fare nulla e ora Veneto Banca e Popolare Vicenza dovranno andare in borsa e, farsi quotare, con la prospettiva che qualche soggetto possa fare shopping a basso prezzo. E’ improbabile che qualche investitore si  avvicini a queste banche prima della quotazione, in questo mondo non esistono benefattori».

Zaia non ha mancato di rimarcare i successi del settore agroalimentare, uno dei punti di forza dell’economia veneta. Ma sulla crisi delle stalle venete, penalizzate dalla liberalizzazione del mercato Ue, ha ribadito che «i consumatori devono poter distinguere il latte che comprano e poter scegliere se comprare latte veneto, il cui costo di produzione è di 40 centesimi al litro, o quello bulgaro, il cui costo di produzione è di 15 centesimi al litro. Invece ora un litro su due del latte che beviamo proviene dall’estero, e non sappiamo da dove. Stiamo chiedendo al ministro Martina  un sistema di etichettatura e di tracciabilità che individui il latte italiano e ne garantisca origine e qualità. Io, quando ero ministro, avevo cominciato a costruire questo sistema, ma ora se ne è persa traccia».

Il presidente ha toccato anche i temi della sanità e della sicurezza, strettamente connessi con l’economia del Veneto e le prospettive di sviluppo. «Difficile se non impossibile fare programmazione sanitaria, quando il governo continua a tagliare i fondi promessi – ha ribadito Zaia -. Noi continuiamo lo stesso a lavorare per una sanità di eccellenza, prima con il piano sociosanitario 2012-2016 e ora proponendo l’azienda zero, che non è altro che una banale riforma per fare economie di scala tra Ulss: che senso ha, infatti, mantenere 20 uffici legali, altrettanti servizi informatici che non hanno una dorsale comune, 20 uffici tecnici, 20 centri acquisti? Così pure la riduzione delle Ulss: non è altro che la prosecuzione di quel disegno lungimirante che altri politici veneti, dal dopoguerra in poi, hanno intrapreso e che ha portato il Veneto a chiudere 47 ospedali».

Quanto al clima internazionale di paura e insicurezza generato dai fatti di Parigi, per Zaia «prima di preoccuparsi di eventuali azioni militari bisogna occuparsi della sicurezza dei nostri cittadini», ripristinando le frontiere e instaurando maggiori controlli, a cominciare dai treni e dalle stazioni. «Schengen era una bella idea – ha commentato – ma non possiamo delegare la gestione delle frontiere europee a Paesi che non sono attrezzati. In una società multirazziale abbiamo bisogno di sapere chi entra a casa nostra. Per questo chiedo gate nelle stazioni e controllo dei varchi di accesso a Venezia con cani che fiutano gli esplosivi. Non mi sembra una limitazione insostenibile delle nostre libertà». 

Il Veneto, sospeso tra recessione e ripresa, guarda ai possibili percorsi di crescita, sondando le energie interne di cui dispone. E’ la chiave di lettura offerta dal Rapporto statistico 2015 curato dalla Regione Veneto per interpretare la gran mole di cifre che fotografano lo stato di salute dell’economia e della società veneta. 

«La ripresa economica passa dell’energia», ha spiegato Luca Felletti, segretario generale della programmazione, che nel presentare il Rapporto statistico al Centro culturale San Gaetano di Padova ha delineato le condizioni congiunturali favorevoli alla ripresa, come il basso prezzo del petrolio e le politiche della Bce a sostegno degli investimenti.  Dopo anni di stagnazione, nel 2015 si stima che la ricchezza prodotta in Veneto aumenti dell’1 per cento (a fronte di un più 0.9% in Italia), con la previsione di un più 1,6 % nel 2016 (+1,4% in Italia).  Dopo due anni di calo, nel 2014 l’occupazione in Veneto torna a salire: gli occupati aumentano di 22 mila unità, mentre il numero dei disoccupati scende a 145.324, pari all’8,7 per cento in meno rispetto all’anno precedente. In calo anche al richiesta di ore di cassa integrazione, scesa a 55.300 lavoratori equivalenti rispetto agli oltre 70 mila dell’anno precedente. Il Pil pro capite in Veneto nel 2014 risulta essere di 30.460 euro, superiore del 14% a quello nazionale. Con il 9,1% del Pil nazionale il Veneto risulta essere la terza regione in Italia, dopo Lombardia e Lazio, per produzione di ricchezza. 

Export, agroalimentare, turismo e i giovani sono i “capitali” della ricchezza del Veneto, ha riassunto Felletti. Oltre un terzo del Pil del Veneto proviene dalle esportazioni, che valgono 54,1 miliardi di euro, il 13,6 % del totale nazionale: nel 2014 l’export veneto è cresciuto del 2,7 rispetto all’anno precedente, nel primo semestre 2015 del 7,3% rispetto al corrispondente periodo del 2014.  Occhiali, vino, prodotti agroalimentari, meccanica, moda, legno e arredo sono le produzioni che hanno maggiormente contribuito al saldo positivo della bilancia commerciale. Il segmento del “buono, bello e ben fatto” (BB&B nel nuovo acronimo inventato dal Rapporto statistico 2015), cioè del manifatturiero e dell’agroialimentare di qualità,, nonché del design e della moda, vale 16 miliardi di euro. Nonostante l’embargo e la crisi del mercato russo, costati al Veneto 180 milioni di minor fatturato nel 2014, la Russia resta il secondo mercato di riferimento extraUe per le imprese venete e il Veneto si attesta seconda regione in Italia per volume di esportazioni. E guardando al futuro il Veneto può cogliere le opportunità offerte da nuovi mercati e nuovi partners esteri, in prima fila – ha suggerito Felletti – Iran e Cuba.

Si stima che la filiera agroalimentare del Veneto abbia generato un valore aggiunto vicino ai 15 miliardi di euro, pari al 9,8% della ricchezza complessiva generata in Veneto, e in crescita dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Le imprese della filiera – spiega Maria Teresa Coronella, direttrice del Sistema statistico regionale – rappresentano circa il 32% delle imprese del territorio regionale e il 26,4% degli occupati. Il valore delle esportazioni agroalimentari negli ultimi dieci anni è raddoppiato, sfiorando i 5,3 miliardi di euro nel 2014 (+12,6% nei primi sei mesi del 2015), di cui ben 1,7 miliardi di euro grazie al vino, che vale un terzo del valore dell’export agroalimentare (+11% nel primo semestre 2015). Prosecco, Amarone e gli altri 40 vini veneti a denominazione d’origine protetta, i 36 prodotti alimentari Dop e Igp (dall’olio ai formaggi al radicchio rosso) e i 371 prodotti alimentari tradizionali sono i best-seller all’estero del “Made in Veneto».

Nel 2014 il flusso dei visitatori in Veneto ha superato i 16 milioni di arrivi sfiorando i 62 milioni di presenze, con un aumento dell’1,7 per cento. Le stime sull’andamento dei flussi nei primi nove mesi del 2015, con riferimento al settore alberghi e campeggi, indicano un incremento medio del 6% degli arrivi e del 3% delle presenze. Boom per la montagna, con una crescita degli arrivi stimata intorno al 10% e un aumento del 7% delle presenze, oltre che per le città d’arte (+ 7,2% di presenze). Cala la presenza dei russi (-3,7%), mentre sale quella cinese (+ 15,6%) e riprendono a crescere i turisti italiani: le stime indicano un +7,1% in termini di arrivi e +3,7% in termini di presenze, con il settore montagna e il lago di Garda che crescono entrambi dell’11% negli arrivi.

I giovani sono la vera “energia” sotterranea del sistema veneto, una risorsa di cervelli qualificati. Il Veneto risulta essere la regione con il  minor tasso di abbandono scolastico (8,4% a fronte di una media nazionale del 15%) e con ottime performances nella preparazione dei suoi studenti: i test PISA certificano che il 18,7 % dei giovani ha alte competenze in matematica, a fronte di una media nazionale del 9,9%. Risultano inoltre in calo la disoccupazione giovanile e la percentuale dei cosiddetti “Neet”, cioè dei giovani che non studiano e non lavorano: nel 2014 i giovani disoccupati sono stati il 22,2% % del totale (nel 2013 erano il 26,2%) e i “Neet” sono il 16,8%, percentuale nettamente inferiore alla media nazionale e in calo dell’8 % rispetto al 2013. Rimane ancora bassa, però la percentuale dei laureati: la percentuale del 23,5% è inferiore alla media italiana di mezzo punto percentuale, e lontana dal target europeo del 40%. 

L’affresco tracciato dal Rapporto statistico 2015 mette a fuoco i punti di forza del Veneto e consente di focalizzare anche i segnali di criticità e i margini di miglioramento .

Il ciclo economico negativo iniziato nel 2008 ha lasciato i suoi segni: il numero di imprese attive è passato da 462.567 a 439.202, con una perdita netta di 23.365 unità. A chiudere sono state soprattutto le imprese delle costruzioni (-2,3%) e l’industria manifatturiera (-1%), anche se il Veneto continua ad essere la quarta regione in Italia per numero di imprese attive. Hanno resistito le imprese di maggiori dimensioni, più strutturate e capaci di internazionalizzare.  Appare ancora debole l’utilizzo delle nuove tecnologie e la capacità di interconnessione digitale, anche a causa dei ritardi della banda ultralarga. «Ma è in atto una metamorfosi – avverte Alberto Baban, presidente delle piccole industrie di Confindustria – il Veneto ha dimostrato capacità di ‘resilienza’ e di reazione e.quelle più attrezzate, hanno imparato ad esportare innovazione a costo variabile, collocandosi nel mercato come fornitori».

In timida ripresa gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo: l’incidenza percentuale della spesa sul Pil in Veneto è pari all’1,05%, 0,4 % punti percentuali in più rispetto all’anno precedente, ma ancora inferiore alla media nazionale e lontana dall’obiettivo europeo del 2,5% previsto per il 2020. Due terzi della spesa per ricerca (pari a 1,6 miliardi) viene dalle imprese private.  Tuttavia – avverte Roberto Grandinetti, docente di economia all’università di Padova -, le statistiche faticano a misurare quanto effettivamente le imprese investono in ricerca e i risultati degli investimenti in ricerca: se si guarda agli “output” del processo il Veneto risulterebbe la seconda regione in Europa per capacità innovative, dopo Utrecht».

Cresce il pendolarismo di studenti e lavoratori: ogni giorni in Veneto si contano 2.603.803 spostamenti, 300.000 in più del 2001. Ma 2 pendolari su 3 utilizzano l’automobile. I mezzi pubblici faticano a soddisfare la domanda di una regione in movimento.

Gli stranieri regolari residenti sono 511.558, erano 223.000 dieci anni fa. Oggi rappresentano il 10,4% della popolazione residente in Veneto, il 10,2% del totale degli stranieri residenti in Italia. «Il nostro trend demografico – ha avvertito il sociologo Daniele Marini – ci interroga sulla capacità di riprodurre il “capitale umano” del Veneto. Attualmente non riusciamo a garantire il tasso di sostituzione e abbiamo bisogno di immigrati»

Entro il 2015 tutto il territorio regionale risulterà coperto dalla banda larga di base, ma internet veloce, cioè la banda ultralarga, raggiunge il 19,5 per cento della popolazione, meno della media nazionale (21%). Le piccole imprese faticano a utilizzare le opportunità del web, solo una su 3 ha un sito internet, poche utilizzano l’e-commerce, nonostante il Veneto conti oltre un migliaio di start-up  che vendono i propri prodotti esclusivamente su internet. Anche il processo di alfabetizzazione digitale va a rilento: il 61% delle persone utilizza internet in modo regolare, ma il 30% della popolazione veneta non si è mai connessa a internet, prevalentemente donne e anziani. Anche nei rapporti con la pubblica amministrazione a utilizzare il web sono il 36,7 % dei veneti con meno di 74 anni, a fronte di una media europea del 59%. Prosegue tuttavia il percorso di digitalizzazione dei servizi regionali, a cominciare dalla sanità: oltre il 60% dei referti è scaricato da internet e nei primi nove mesi del 2015 i medici hanno consegnato ai pazienti 33,9 milioni di ricette digitali, pari a circa il 90 % delle prescrizioni farmaceutico e al 71,5% di quelle specialistiche.