Il rabarbaro come vettore per l’accumulo di energia in originali batterie a flusso

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La nuova tipologia di accumulatori elettrici sviluppati da una collaborazione congiunta tra le università di Hrvard (Usa), Tor Vergata (Italia) e i ricercatori della Fondazione Kessler in Trentino

 

batterie a flusso Harvard tor vergata FBKBatterie al rabarbaro, a basso costo e biocompatibili, per portare l’energia rinnovabile in tutte le case e staccarle definitivamente dalla rete elettrica. Si tratta di una nuova tecnologia ideata all’Università di Harvard e sviluppata dai ricercatori dell’Università di Tor Vergata e della Fondazione Bruno Kessler di Trento per superare i limiti delle rinnovabili, ossia accumularla per poterla usare quando necessario. 

«Uno dei problemi delle rinnovabili è la possibilità di accumularla – spiega la biologa Adele Vitale, del gruppo di sviluppo del prototipo di Green Energy Storage -. Non può essere prodotta costantemente, in caso di mancanza di vento o di sole, mentre in altri momenti invece se ne produce troppa». Per questo è necessario accumularla. La soluzione per farlo è usare delle batterie, ma il loro limite sono i costi e, soprattutto, l’impatto ambientale: spesso usano al loro interno metalli tossici. 

La nuova tecnologia sfrutta invece una molecola prodotta dalle piante durante la fotosintesi, detta chinone, facilmente estraibile dal rabarbaro, biocompatibile e a basso costo. Il funzionamento è diverso dalle batterie “normali”, come le tradizionali stilo, in quanto l’energia viene immagazzinata chimicamente in serbatoi riempiti da una soluzione liquida ricca di elettroliti, molecole che immagazzinano cariche elettriche. «Abbiamo raggiunto un accordo con Harvard di licenza esclusiva in Europa – ha spiegato Emilio Sassone Corsi, consigliere di Green Energy Storage – e entro la metà del 2016 avremo batterie con potenza superiore al kilowatt. Puntiamo a entrare sul mercato nel 2017». 

Le batterie al rabarbaro avranno dei costi molto ridotti, per quelle di uso domestico di appena un terzo rispetto a quelle attualmente sul mercato, e il passo successivo sarà quelli di sviluppare batteri ancora più grandi per necessità “industriali”.

Secondo il frof. Michael J. Aziz, della Harvard School of Engineering and Applied Sciences, «a differenza dalle batterie convenzionali come batterie ad elettrodi solidi, le batterie a flusso immagazzinano l’energia al di fuori del contenitore della batteria, all’interno di serbatoi chimici. L’energia è accumulata in maniera reversibile in forma ridotta e ossidata che circola da serbatoi esterni al serbatoio principale della batteria.  Nella batterie avvengono reazioni di riduzione e ossidazione da una parte e l’altra di una membrana convertendo l’energia elettrochimica in energia elettrica (o viceversa). In contrasto con le batterie a litio, le batterie a flusso hanno il grande vantaggio di poter aumentare la capacità di energia semplicemente aumentando la grandezza del serbatoio chimico».

Secondo Azuz, a vantaggio delle batterie a flusso c’è il fatto che queste «impiegano materiali comuni e a basso costo, abbassando quindi in maniera drammatica il costo totale. Abbiamo stimato che i nostri elettroliti costano meno del 10% del costo del vanadio o di altri elementi rari normalmente utilizzati e non hanno le difficoltà di reperimento. Noi utilizziamo l’antrachinone per circa la metà del nostro sistema; è un materiale sconosciuto ai più ma in realtà è utilizzato come agente ossidante nelle industrie della carta, petrolchimiche e della pasta. Come conseguenza, si può facilmente trovare in grandi volumi ed a basso costo. Allo stesso modo, l’idrogeno bromuro è una sostanza chimica industriale comune ed ampiamente disponibile a basso costo. Il passo successivo è quello di ridurre ulteriormente l’impatto ambientale impiegando chinoni, che normalmente si trovano in piante ed animali e che possono subire rapide ossidazioni e riduzioni reversibili durante numerosi cicli senza degradarsi. Abbiamo modificato queste molecole in modo tale da aumentare la solubilità in acqua per poterla utilizzare nella batteria. Il materiale chiave che abbiamo usato non è tossico ed è simile a quello che costituisce il rabarbaro».

Aziz ha dinanzi uno scenario che vede la “sua” batteria passare dalla fase di laboratorio a quella industriale nell’arco di pochissimi anni: «le singole celle elementari di una batteria di flusso possono essere accoppiate insieme per produrre alta potenza. Un sistema pilota in grado di erogare un megawatt di potenza per cinque ore (capacità energetica totale di 5 MWh) è stato dimostrato da Sumitomo Electric in Giappone, e sono in costruzione sistemi dieci volte più grandi. L’obiettivo delle nostre batterie è tra una media dimensione (100 kW) e una grande (1 MW o maggiore), quindi una scala per una struttura commerciale o industriale fino alle sottostazioni elettriche per le wind-farm o i campi fotovoltaici.