Veloce dizionario di lemmi veneziani gastronomici edito a cura di ODE
di Giovanni Greto
«Un “cichèto” – “bocconcino”- è uno spuntino veloce che si mangia in piedi e solletica l’appetito. Un’“ombra” è un bicchiere di vino da degustare all’ora dell’aperitivo al riparo del sole. Un “bàcaro” è un’osteria dove assaggiare un “cichèto” e bere un’“ombra” scambiando quattro chiacchiere con gli amici. Ricordatevi queste tre parole quando verrete a Venezia e passeggerete tra le sue calli e i suoi canali». Così l’autrice Alessandra De Respinis introduce il suo ricettario di cicchetti, “Cicchettario”, creando un nuovo lemma che magari potrà trovar spazio nei futuri dizionari.
Peccato che dietro al bancone di troppi bacari, nuovi e/o ristrutturati tutti alla stessa maniera, oggi si faccia fatica a intravedere un veneziano. Ma chi sono i lavoratori “foresti”? Campagnoli, persone cioè provenienti dalla terraferma vicina o lontana, comunque al di là dell’acqua; gente dell’Europa dell’Est; indiani, cingalesi; nordafricani; sudamericani; cinesi, che si stanno impadronendo inesorabilmente di Venezia. Per cui viene meno, ai pochi indigeni rimasti in una città alquanto decaduta per qualità di vita, la voglia di entrare in questi nuovi o restaurati locali.
La mente rimane legata ad ambienti familiari, come quello delle “Cantine del vino già Schiavi”, meglio noto come “Bottegon”, rilevato dal suocero dell’autrice nel 1945 e, dopo la sua morte, dal figlio Lino Gastaldi, il quale aveva assunto il 17 luglio 1960, la giovanissima futura moglie, in un bar della Giudecca che allora conduceva con un amico. Rimasta vedova pochi anni fa, la signora Alessandra, non ancora settantenne, tuttavia stanca e desiderosa di lasciare il lavoro dopo 55 anni dietro ad un bancone, continua a far sì che il “Bottegon”, dopo tre generazioni, rimanga uno dei locali più amati e frequentati da una clientela di tutte le età, turisti e studenti compresi, anche per la bellezza della zona in cui si trova, di fronte a San Trovaso e a due passi dalle Zattere.
Nel “Cicchettario”, l’abile cuoca inventrice di bocconcini sempre nuovi, amante della sperimentazione, sono elencate 70 specialità dalle più antiche alle più recenti, rispettando l’ordine alfabetico (da “Acciughe e cipolle” a “Verdure in salsa piccante e cavolfiore”). La signora Alessandra tende a sottolineare che oltre alla bravura sono necessarie la passione, e l’amore per chi poi assaggerà le stuzzicanti prelibatezze. Inoltre, una grande importanza risiede nel pane – consigliata è la baguette, meglio se appena sfornata – alla base di quasi tutte le ricette proposte. Ma che “sia fresco e croccante e si posa tagliare a fette di circa un centimetro e mezzo”. Attenzione anche agli ingredienti, che siano sempre “freschi e di ottima qualità”. Non manca una puntatina ai colleghi, “specialmente a quelli che vogliono copiare le mie ricette: non vendete mai i cicchetti avanzati, piuttosto mangiateli o offriteli, come faccio io, agli ultimi clienti della giornata”.
Il ricettario, uscito da pochissimo, è una versione nuova rispetto a quella ideata ed edita da Mario Politi e illustrata da Agostino Nani Mocenigo. Grazie al lavoro di cinque studenti di Ca’ Foscari – Xiao Mei Hu, Roberta Boncompagni (illustratrice), Tommaso Munari, Silvia Reymond e Giulia Merlo – è nato un volume simpatico nella sua dimensione quasi quadrata (15 x 16 centimetri) e con una consistente copertina cartonata. I disegni, non a colori, rimandano a testi antichi di arte culinaria, mentre la scrittura, bicolore, con gli ingredienti e il nome del “cicchetto” in arancio, risulta di facile lettura, una cosa assai importante per le persone di una certa età. In basso a destra di ogni pagina del testo è indicato il vino consigliato, con la netta vittoria del bianco rispetto al rosso, secondo il parere dell’esperto enologo del locale, il figlio Piero. Ogni “cicchetto” occupa due pagine. In quella di sinistra compaiono, disegnati, gli ingredienti; in quella di destra, il testo. Oltre ai “cicchetti” più antichi, che appartengono alla tradizione veneziana, come quello costituito da un’acciuga sottolio e una cipollina sottaceto infilzate in uno stuzzicadenti; quello col baccalà, un classico per la Serenissima, ma che richiede una preparazione molto lunga (il merluzzo essicato è lasciato in ammollo per 24 – 36 ore, cambiando spesso l’acqua); quello costituito da un pezzetto di mortadella tagliato spesso e da un peperone verde sott’aceto, tenuti uniti da uno stuzzicadenti; nel volume, acquistabile al “Bottegon”, compaiono ricette di cicchetti fantasiosi, nati dall’estro e dalla voglia di novità della signora. E’ il caso di “Rosso d’uovo e petali di fiore”, raccolti dal suo giardino (rosa, margherita, viola, melissa, calendula), a garanzia della commestibilità. E ancora, i “cicchetti” che le hanno fatto vincere premi nelle gare gastronomiche nazionali e internazionali, come “Tartara di tonno e cacao amaro”.
Se le ricette si leggono a stomaco vuoto, la fame aumenterà. Per sconfiggerla, niente di meglio che provare a cimentarsi a preparare qualche “cicchetto”. Oppure, se il risultato è sconfortante, non resta che precipitarsi, da qualunque parte della città ci si trovi, ad assaggiarli, chiedendo consigli per un futuro tentativo di preparazione casalinga. Per concludere, un ultima annotazione della signora, con la quale si congeda dal lettore: «Non stancatevi mai di inventare nuovi cicchetti. Sbizzarritevi negli accostamenti, cercando di creare un giusto equilibrio fra i sapori: piccante e delicato, aspro e salato. Ma non dimenticate che è molto importante anche l’aspetto decorativo. L’arte dei cicchetti è anche arte pasticciera».