Il senatore condannato anche a rifondere allo Stato 2,5 milioni di euro quale provento della sua corruzione
La settima sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo inammissibile, al patteggiamento, così passato in giudicato, dell’ex presidente Veneto e ministro Giancarlo Galan, relativo all’accusa di corruzione nell’ambito della vicenda Mose. Galan, tutt’ora senatore e presidente della commissione Cultura, era tra gli indagati della Procura di Venezia del blitz del 4 giugno 2014. Quindi era finito in carcere, dopo che il Parlamento aveva dato il via libera, il 22 luglio successivo. Dopo mesi di prigione nell’infermeria del carcere di Opera, aveva optato per il patteggiamento ed era finito ai domiciliari.
L’accordo con la Procura veneziana, avvallato dal Gup Giuliana Galasso, era per due anni e 10 mesi di carcere e la corresponsione al fondo per la giustizia di 2,5 milioni di euro come provento di reato calcolati su una percentuale di quanto avrebbe illecitamente ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova, guidato allora da Giovanni Mazzacurati, che lo avrebbe avuto a “libro paga” occulto per un milione di euro all’anno. Ad assistere Galan, nella vicenda giudiziaria, sono stati gli avvocati Niccolò Ghedini ed Antonio Franchini. Proprio quest’ultimo, ha detto che «visto l’esito del ricorso, Galan chiederà di essere assegnato ai servizi sociali mentre per il pagamento della somma ha ora tre mesi di tempo». L’ipotesi è che se Galan non sarà in grado di trovare i 2,5 milioni di euro dovrà cedere la sua abitazione, Villa Rodella, a Cinto Euganeo.
Con la condanna definitiva, Galan non decade automaticamente da senatore e dalla presidenza della Commissione cultura: a decidere delle sue sorti politiche saranno i colleghi in Parlamento.
La condanna dà a Jacopo Berti, capogruppo del Movimento 5 Stelle nel consiglio regionale veneto, lo spunto per commentare: «siamo davvero felici di questa decisione – spiega – speriamo ora che, dopo la pausa estiva, il Tribunale di sorveglianza respinga anche la richiesta di scarcerazione». «In caso contrario saremo pronti a lottare in difesa della dignità delle istituzioni, per impedire che Galan si prenda beffa degli italiani varcando la soglia di Montecitorio – annuncia Berti -. Deve restituire fino all’ultimo centesimo, deve scontare la sua pena fino all’ultimo giorno e soprattutto deve dimettersi dal suo ruolo di Parlamentare e di presidente della commissione Cultura. Siamo pronti a tutto pur di impedire il suo ritorno alla Camera». «Tra l’altro, l’ex doge – conclude il consigliere – è anche fortunato, può stare al fresco qualche altro mese nella sua bella villa ai piedi dei colli Euganei, al contrario di tanti veneti che non vedranno il mare o i monti neppure per una mezza giornata. Magari andremo a fargli visita».