“A occhi spalancati. Capolavori del Museo dell’impressionismo russo di Mosca” a Palazzo Franchetti. “Grisha Bruskin. Alefbet: Alfabeto della memoria” alla Fondazione Querini Stampalia
di Giovanni Greto
Lo CSAR (Centro Studi delle Arti della Russia) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia promuove contemporaneamente due mostre di medie dimensioni. La prima mette insieme fino al 12 aprile una cinquantina di opere con l’intento di pubblicizzare il non ancora ultimato Museo dell’Impressionismo russo di Mosca, che aprirà al pubblico il prossimo autunno con un’esposizione ben più consistente.
Curata da Yulia Petrova, direttrice del museo moscovita e da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, rispettivamente direttrice e vicedirettore dello CSAR, la mostra ospita parecchio materiale del collezionista miliardario Boris Mints. L’Impressionismo russo è un fenomeno che è stato poco indagato in patria e che rimane pressoché sconosciuto al di fuori dei confini nazionali. Secondo i curatori, l’Impressionismo non è un movimento limitato nel tempo, ma piuttosto un linguaggio nato in seno al Realismo, che si sviluppa dagli ultimi anni del XIX secolo (secondo gli storici dell’arte, l’arte moderna in Russia nasce nel 1863) e arriva fino al tempo attuale.
Secondo Jose Ortega y Gasset, l’Impressionismo «consiste nella negazione della forma esteriore degli oggetti reali e nella riproduzione della loro forma interiore, che è una massa policroma». La concezione francese ritiene invece l’Impressionismo un tentativo di interpretare il soggetto esclusivamente in virtù del suo tono pittorico. I quadri esposti raffigurano paesaggi, immagini di interni, qualche figura. Il quadro scelto come manifesto si intitola “Manifesto sotto la pioggia” ed è datato 1973. L’autore, Yuri Pimenov (1903-1977), inserisce una piccola immagine in bianco e nero del Canal Grande proprio nello spazio in cui sorge il palazzo Franchetti, sede dell’Istituto Veneto. Sorprendente per il chiarore notturno e la capacità di esprimere il movimento, l’olio su tela “Pista di pattinaggio ‘Dinamo’”, del 1973, di Petr Koncalovskij (1876-1956). “Venezia” è raffigurata da Valerij Kosljakov (1962, vivente) in un grande acrilico su tela del 2012 che esprime, in maniera postmodernista, una città che muore e risorge sotto la mano del pittore. Prima di lui, Boris Kustodiev (1878-1927), aveva dipinto “Venezia” (1913) usando la tecnica dell’olio su tela, per celebrarne la festa del Redentore, la più sentita anche oggi dai pochi veneziani rimasti, nella cui notte lugliatica brillano i fuochi d’artificio. L’ultima citazione spetta a “Notte di giugno”(1911), un piccolo disegno a pastello su carta grigia di Nikolas Mescerin (1864-1916), che conserva quel tratto spezzato, peculiare allo stile ad olio degli impressionisti. Oltre alle 50 opere, l’esposizione presenta supporti multi-mediali originali, elaborati dallo CSAR al fine di esaltare alcuni quadri con la trasposizione in tre dimensioni e spezzoni “impressionisti” di pellicole russe degli anni ‘60-’80.
A pochi minuti da piazza san Marco, Palazzo Querini Stampalia, in cui sono allestiti la Biblioteca, il Museo e un’area per esposizioni temporanee, ospita fino al 13 settembre “Grisha Bruskin: Alefbet. Alfabeto della memoria”. Grigorij Davidovich (Grisha) Bruskin, nato a Mosca il 21 ottobre 1945, è uno dei più apprezzati artisti russi viventi, riconosciuto a livello internazionale almeno dalla metà degli anni ’80. Per la sua prima esposizione a Venezia, ha scelto il progetto “Alefbet”, di eccezionale impatto visivo, il cui cuore è rappresentato da cinque grandi arazzi (m. 2,80 x 2,10), cui si giunge tuttavia esaminando in precedenza i disegni preparatori, i gouaches e sei dipinti, ossia le diverse tappe in cui si è articolato questo affascinante e complesso archivio del segno. “Alefbet”, misterioso alfabeto, è costituito da 160 personaggi: angeli, demoni con il volto di animali, figure trafitte da un fulmine, uomini che portano sulle spalle la loro ombra o scrutano nei segreti del Libro. E’ una sintesi densissima che fa memoria di una millenaria tradizione, quella ebraica del Talmud e della Kabbalah, nel momento stesso in cui la rivela come possibile e permanente chiave di lettura simbolica della nostra storia e del nostro presente. Lo spettatore può ammirare ogni personaggio raffigurato nell’arazzo, comprendendo chi esso rappresenti, grazie ad una vetrina al centro della sala sulla quale può cliccare sulla figura prescelta. Bruskin, avvicinatosi alla fine degli anni ’60 alla tematica ebraica, si rapporta ad “Alefbet” «come a una concezione artistica e nient’altro, come a una sorta di gioco di biglie». Ma “Alefbet” è anche scritture misteriose, rebus, un dizionario mitologico, allegorie che bisogna essere capaci di decifrare, indovinare, dove occorre trovare la propria personale spiegazione, ed è anche il commentario personale dell’artista al Libro, simbolo fondamentale del popolo ebraico.
Le mostre, entrambe ad ingresso libero, sono aperte al pubblico da martedì a domenica, con orario 10.00-18.00.