La proposta dell’assessora alla sanità Borgonovo Re sconfessata dal Consiglio provinciale, ma lei insiste: «bisogna puntare più alla qualità del servizio che alla capillarità sul territorio»
La questione della disponibilità del servizio di mammografia presso tutti gli ospedali della provincia di Trento è al centro di un’accesa polemica tra l’assessora alla sanità, Donata Borgonovo Re, e l’intero Consiglio provinciale, che non digerisce la sua proposta di concentrare sono nei due ospedali principali della provincia, quelli di Trento e di Rovereto, il servizio, adeguatamente aggiornato e potenziato con le nuove macchine a scansione tridimensionale che consentono una più approfondita valutazione senologica delle donne durante le fasi di controllo periodico biennale.
Una proposta che è andata di traverso ai rappresentati delle varie vallate, che vedono nella proposta un’anticamera al progressivo depotenziamento dei servizi resi dagli ospedali periferici, cosa che già si verifica da anni, complice il fatto che l’erogazione di servizi di alta qualità difficilmente si coniugano con la ridotta casistica ospedaliera.
In Consiglio provinciale si è venuta a creare un’alleanza trasversale tra i consiglieri di valle, esponenti di maggioranza e di opposizione, che hanno partorito una risoluzione unitaria piuttosto fumosa nella formulazione, in grado di accontentare tutti, assessora compresa, che l’ha votata. Al centro del documento, il mantenimento del servizio di mammografia negli ospedali periferici. Il presidente della Giunta, Ugo Rossi, ha ribadito che le decisioni non sono state ancora prese, ma che «la sfida, anche politica, verte sulla capacità di coniugare il diritto ad avere i servizi sanitari vicini alla qualità e alla sicurezza».
A documento approvato, qualcuno ha parlato di «plateale sconfessione dell’operato dell’assessora Borgonovo Re», ma altri rimangono più realisti, consci del fatto che non basta acquistare una nuova apparecchiatura mammografica tridimensionale per ogni ospedale per mettere la parola fine alla vicenda. I problemi sono altri, ad iniziare dalla disponibilità di personale adeguatamente preparato per operare con le nuove macchine e la stessa utilizzazione delle macchine. Se il fattore costo (circa 210.000 euro ad apparecchio, per un totale di circa 900.000 euro per dotare tutti gli ospedali di valle dei nuovi macchinari) è tutto sommato un aspetto marginale per una sanità trentina che ogni anno spende circa un miliardo di euro, il problema più grande è garantire un’adeguata sicurezza del servizio di mammografia. A poco vale avere macchinari sofisticati in ogni ospedale di valle se poi questi vengono utilizzati poco più una settimana al mese (come avviene per i macchinari oggi in servizio), con qualche problema anche per l’esercizio in piena sicurezza delle macchine, e se poi non esiste personale in sufficienza ed adeguatamente professionalizzato. Più che il fattore costo, a pesare è il fattore umano, che attualmente è ridotto e concentrato solo negli ospedali di Trento e di Rovereto, i cui tecnici di mammografia operano a turno anche negli ospedali periferici.
Per l’assessora Borgonovo Re il problema dell’accesso al servizio di mammografia è facilmente risolvibile: «se il progetto di concentrare il servizio nei due ospedali di Trento e di Rovereto, dove è prevista l’introduzione di tre nuovi apparecchi tridimensionali, passerà è già previsto l’ampliamento dell’orario di apertura del servizio, in modo da ridurre le liste d’attesa ad una settimana. Non bisogna dimenticare che le visite di controllo avvengono ogni due anni: non mi pare un grande problema fare un viaggio a Trento per sottoporsi ad un esame accurato e in piena sicurezza. Già oggi esistono realtà come la Valle di Ledro dove le donne che devono fare l’esame si organizzano tutte assieme e vanno a fare l’esame a bordo di un autobus, magari utilizzando l’occasione anche per visitare un museo».
La “visione” dell’assessora provinciale alla sanità ha una sua indubbia fondatezza, improntata al buon senso e alla corretta gestione del denaro pubblico: bisognerà vedere se riuscirà a superare il retaggio valligiano di alcuni rappresentanti popolari, probabilmente più attenti a coltivare il proprio orticello elettorale che ad assicurare una buona gestione della cosa pubblica ed esami di qualità alle donne trentine.