La proposta del Direttivo Metalmeccanici di Confindustria Padova al Governo nell’incontro con il direttore generale di Federmeccanica Stefano Franchi. Nel primo semestre volumi produttivi in risalita del 3,2% ma i livelli pre-crisi restano lontani
È il cuore pulsante dell’economia italiana (8% del Pil) e l’avanguardia del Nuovo manifatturiero che tra le onde della crisi si fa strada a NordEst. L’industria metalmeccanica reagisce con innovazione e qualità e rilancia da Padova la sua “road map” per ricominciare a crescere.
Contratti flessibili, spinta agli investimenti pubblici (infrastrutture, innovazione) e privati, detassazione completa del salario di produttività, «da cui possono discendere benefici maggiori e più estesi degli 80 euro in termini di liquidità ai lavoratori (e spinta ai consumi), merito e guadagni di produttività». Sono le «tre cose da fare subito» che il direttivo dei Metalmeccanici di Confindustria Padova chiede al Governo in vista dell’agenda d’autunno (legge di Stabilità, riforma del lavoro).
L’occasione è stata l’incontro con il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi svoltosi nella sede di Confindustria Padova e preceduto dalla visita alle Officine Facco & C. di Campo San Martino (Pd) e alla Berto’s di Tribano (Pd), seguito da un fitto giro di tavolo con gli imprenditori metalmeccanici alla ripresa autunnale, sulla congiuntura «altalenante e nel complesso statica», le prospettive di un comparto strategico della manifattura “Made in Italy” e le priorità della politica economica. A cominciare dal rafforzamento della competitività aziendale, declinata sul fronte della contrattazione e delle relazioni industriali.
«La meccanica, la meccatronica, i beni strumentali – dichiara il presidente dei Metalmeccanici di Confindustria Padova, Mario Ravagnan – sono l’orgoglio industriale del Paese e del Padovano. Un comparto che nel primo semestre ha registrato a Padova una risalita dei volumi produttivi del 3,2% anche se i livelli pre-crisi restano lontani. Tuttavia il recupero di competitività è troppo lento, richiede robusti investimenti e un miglior collegamento tra dinamica delle retribuzioni e risultati aziendali. Per questo vanno resi strutturali la detassazione e decontribuzione del salario di produttività, anche se questo non è frutto della negoziazione. Ne deriverebbero benefici maggiori del bonus 80 euro a una platea più estesa di lavoratori, in termini di più soldi in tasca e in un’ottica di merito, e guadagni di produttività. Dobbiamo favorire la contrattazione aziendale virtuosa e le forme di welfare».
Sulla riforma del mercato del lavoro, le imprese padovane spingono per una semplificazione del rapporto e «una revisione del contratto a tempo indeterminato, per renderlo meno costoso e più flessibile, agendo soprattutto sulle regole in uscita, per una maggiore propensione a investire in occupazione stabile e per perseguire l’efficienza». «Sia chiaro – sottolinea Ravagnan – le aziende industriali non cercano lavoratori “precari”. I contratti a termine costituiscono uno strumento che risolve i problemi delle fluttuazioni di mercato nell’immediato, ma alle imprese serve un rapporto di lungo termine con i lavoratori. Ma bisogna rendere più conveniente il contratto a tempo indeterminato. In ogni caso nessuna legge può creare occupazione, ma una buona legge può incoraggiarla e favorirla, quando l’economia tornerà a ritmi normali».
Un’analisi ripresa e articolata dal direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi. «”Made in Italy”, qualità, innovazione ed efficienza: questo abbiamo visto oggi nelle aziende che abbiamo avuto il piacere di visitare qui a Padova. Come Federmeccanica siamo da sempre legati al mondo industriale, ma il nostro impegno adesso è ancora maggiore. Stiamo costruendo una comunità di imprese che sfidano la crisi e cercano soluzioni per crescere. Una crescita che, a livello Paese, deve avere tra i suoi motori la manifattura, le fabbriche che sono il cuore pulsante del nostro sistema, portatrici non solo di valori economici ma anche connettori del tessuto sociale».
«Siamo vicini alle aziende che trovano difficoltà e ostacoli sul cammino dell’innovazione e dello sviluppo – insiste Franchi – e crediamo che fare squadra sia la vera carta vincente per far valere il peso di un settore, quello metalmeccanico, che è una delle leve dell’economia italiana, in grado di produrre da solo l’8% del Pil e creare quasi la metà del valore aggiunto dell’intera industria manifatturiera. Valorizzare le imprese e le loro eccellenze richiede tuttavia scelte coraggiose. Da parte nostra mettiamo al centro dell’azione relazioni industriali costruttive e inclusive, sia sul fronte della comunicazione all’interno delle aziende, sia con i sindacati. La competizione globale richiede uno sforzo di condivisione tra lavoratori, imprenditori e organismi di rappresentanza, ma non basta. Servono meno carico fiscale, meno burocrazia e meno rigidità sul mercato del lavoro, per riequilibrare le esigenze della tutela sociale con quelle della flessibilità, tutti elementi imprescindibili per liberare le potenzialità delle nostre imprese e tornare a crescere».
Quanto all’andamento del settore, la metalmeccanica padovana, con 5.300 imprese e oltre 47.000 addetti, è il settore portante del sistema produttivo provinciale. Investito sì, ma non piegato dalla crisi, cui ha reagito con innovazione, qualità, presidio di nuovi mercati. Nel primo semestre 2014 la produzione ha registrato una variazione positiva del 3,2% (a fronte del +0,7% del totale manifatturiero), pur in un quadro congiunturale che permane altalenante e nel complesso statico. Positiva la variazione dell’export nel semestre (+3,2% al netto metalli preziosi), indizi di lento recupero della domanda interna (+3,8%). «Segnali positivi ma ancora insufficienti a invertire stabilmente la tendenza, appesantita dalla morta gogna del mercato interno – commenta Ravagnan -. È un recupero lento e a due velocità: da un lato le imprese più strutturate e globalizzate continuano a performare, dall’altro la maggioranza è ancora su un piano inclinato ed esprime disagio. Una dinamica che inevitabilmente si riflette sull’occupazione».