Confesercenti, anche nel 2014 per l’Italia nessuna ripresa, nel 2015 +0,9%

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Confesercenti marco venturi 1 1Dal 2009 al 2012 famiglie ed imprese hanno pagato quasi 19 miliardi di maggiori imposte e tariffe che hanno depresso la capacità di spesa delle famiglie. Ci vorranno da 7 a 9 anni per recuperare i livelli pre crisi

Le orecchie del premier Renzi dovrebbero fischiare a più non posso, in quanto non passa giorno che vengano pubblicai dati negativi sull’andamento della politica economica del paese e le sue prospettive. Se va di questo passo (e anche Marchionne ha chiesto al governo Renzi di individuare tre semplici coe ed attuarle fino in fondo, evitando di perdersi in chiacchiere dove il Toscano è maestro), nemmeno per il 2015 l’Italia andrà sopra lo zero, con tutto quel che ne consegue in termini di crescita, rispetto degli accordi internazionali e capacità di spesa delle famiglie.

Secondo i dati presentati da Confesercenti neanche quest’anno l’Italia ce la farà ad agganciare la ripresa economica e chiuderà con un Pil in calo dello 0,2%. Le ultime previsioni non felici sullo stato di salute dell’economia nazionale affermano che crescita tornerà (forse) l’anno prossimo, ma «in modo molto ridotto (+0,9%) e comunque non adeguata per stimolare gli investimenti e l’occupazione».

La proposta di Confesercenti per dare uno stimolo in tempi rapidi è di operare un intervento sul lato fiscale, composto dall’estensione del bonus di 80 euro ai pensionati entro i 25.000 euro di reddito annuo e dal taglio di almeno due punti delle aliquote Irpef. Il costo sarebbe di circa 15 miliardi di euro.

A sette anni dall’avvio, nell’estate del 2007, della crisi del mercato bancario europeo, l’economia nazionale non ha ancora iniziato l’inversione di tendenza. Il Pil italiano registra, infatti, al 2013, rispetto ai livelli pre-crisi, una caduta pari all’8,5% ed i consumi delle famiglie una perdita del 7,6%. Le imprese stanno subendo una sorta di assuefazione ad un contesto di recessione, che ne condiziona fortemente i risultati, e definiscono i propri piani di investimento incorporando attese di un andamento al più stagnante della domanda finale, soprattutto quella interna. Allo stesso modo, vi sono oggi tre milioni di disoccupati, ma altrettanti sono quanti desidererebbero lavorare pur non essendo neanche presenti nelle statistiche della disoccupazione, non avendo effettuato azioni di ricerca attiva.

Dal 2009 al 2012 famiglie ed imprese hanno pagato quasi 19 miliardi di maggiori imposte e tariffe I problemi dell’economia italiana vengono da lontano. L’ampia contrazione degli ultimi anni era stata preceduta da una fase di bassa crescita sin dalla seconda metà degli anni Novanta. La performance dell’economia italiana è deludente anche se valutata nel confronto con le altre maggiori economie. Il nostro ritardo nei confronti delle economie più avanzate ha continuato ad ampliarsi. Se nel 1990 l’Italia presentava un Pil pro-capite pari al 74% di quello Usa, già nel 2008 il Belpaese si è portato al di sotto del 70%, e attualmente è sotto il 65%. Si tratta di un ampliamento dei divari di dimensione clamorosa, che sta ponendo l’Italia sempre più ai margini dei processi di sviluppo globali.

Alle difficoltà di natura strutturale, che condizionano la crescita potenziale del paese, si aggiungono da alcuni anni i problemi di domanda. Il sistema è caduto in una condizione di ampio deficit di domanda aggregata a seguito della crisi del credito e degli sforzi di correzione fiscale messi in atto durante gli anni passati. Vi sono anche comparti tradizionali che possono presentare ampi spazi di crescita. Fra questi è noto come l’Italia non stia sfruttando adeguatamente le potenzialità concesse dalla propria industria turistica.

Le sfide che attendono la politica economica italiana non sono quindi semplici. La sovrapposizione di questioni strutturali e aspetti critici di natura congiunturale è colta nello schema delle politiche economiche annunciate dal Governo, con proposte di interventi che intendono modificare la struttura produttiva (misure di aumento dell’efficienza della Pa, riforma del lavoro) e al contempo fornire sostegno all’andamento della domanda aggregata (accelerazione dei pagamenti della Pa, decreto degli 80 euro, tentativo di rinviare il rispetto dell’obiettivo del pareggio del bilancio). Il quadro resta però incerto. La cornice della politica di bilancio è ancora da definire, mentre riforme strutturali adeguate non sono semplici da realizzare, e avranno necessariamente bisogno di tempo per essere portate a termine e produrre i loro effetti sulla crescita.

Il tentativo delle famiglie di aumentare il tasso di risparmio, principalmente a scopo precauzionale, deprime la crescita dei consumi, mentre per molte imprese la priorità è quella di ridurre l’esposizione verso il sistema bancario, più che il rilancio dei programmi di investimento. Infine, ma non ultimo come importanza, resta il fatto che la pressione fiscale e contributiva, al centro come in periferia, continua ad essere troppo elevata, bloccata al 44% del Pil, sia per le famiglie che per le imprese. Solo dal 2009 al 2012 famiglie ed imprese hanno pagato quasi 19 miliardi di maggiori imposte e tariffe. Appare quindi del tutto condivisibile la scelta del Governo di cercare di allentare i vincoli europei per ridurre la morsa della stretta fiscale.

Dal punto di vista delle caratteristiche del processo di crescita c’è l’ulteriore conferma delle difficoltà ad attivare un recupero della domanda interna. Ci si ritrova quindi a dipendere ancora dal traino dell’export quale principale sostegno alla crescita. Le esportazioni non sono però riuscite a raggiungere tassi di crescita sufficientemente robusti per potere sostenere da sole la fase di avvio della ripresa. La dinamica dell’export non è quindi sufficiente per sostenere da sola la crescita della nostra economia. A ciò si aggiungono poi alcuni tratti peculiari della fase attuale, e in particolare le tensioni politiche fra Russia e Ucraina, che hanno portato a inizio 2014 ad una contrazione del commercio di questi paesi con l’area dell’euro.

La recessione, una volta terminata, può stentare a fare posto ad una fase di recupero. Dalla metà del 2013, hanno iniziato a materializzarsi le premesse per un graduale recupero della nostra economia ma l’attività economica non ha accennato a rafforzarsi, e il Pil anche nel 2013 e fino ad oggi ha registrato per 5 trimestri su 6 variazioni negative. Stante la situazione, i tempi di “recupero”, rispetto ai valori pre-crisi, della ricchezza nazionale, dei consumi delle famiglie e dell’occupazione, risulteranno sicuramente rallentati ulteriormente: per il Pil è possibile ipotizzare un rientro su valori del 2007 non prima di 7 anni, per i consumi delle famiglie occorreranno almeno 6 anni e per gli occupati almeno 8.

Queste considerazioni definiscono uno scenario in cui di fatto la mancata ripresa del 2014 risulta posticipata e si materializza solamente dal prossimo anno ed in modo molto ridotto (0,9%). L’entità del recupero che al momento appare ragionevole proiettare è comunque contenuta. Una crescita ancora al di sotto dell’1% appare difatti in grado di indurre miglioramenti dei bilanci di famiglie e imprese del tutto esigui rispetto alle perdite osservate negli anni passati. La dimensione della ripresa non sarebbe d’altra parte sufficiente per stimolare un’inversione di tendenza degli investimenti delle imprese nella maggior parte dei settori produttivi.

Le difficoltà dell’economia, e il contesto meno favorevole sul versante della domanda internazionale, rendono poi necessaria una politica in grado di produrre uno stimolo in tempi molto rapidi, per invertire la tendenza ad un avvitamento molto pericoloso che potrebbe portare ad una situazione di stagnazione per diversi anni.

Che fare per uscire da questa situazione? La proposta di Confesercenti è operare un intervento sul lato fiscale, composto dall’estensione del bonus di 80 euro ai pensionati entro i 25.000 euro di reddito annuo e dal taglio di almeno due punti delle aliquote Irpef. Il costo sarebbe di circa 15 miliardi di euro. L’effetto sul Pil di una tale misura si aggirerebbe intorno allo 0.2% se ottenuto con parallele riduzioni di spesa e dello 0.7% se effettuato in deficit. Ovviamente va anche assicurato il rinnovo, permanente, del bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti, varato quest’anno. Il che farebbe arrivare le risorse messe e disposizione per le famiglie, in particolare quelle con redditi più bassi, e maggiore propensione alla spesa, a circa 25 miliardi. Vanno anche proseguiti gli sforzi per individuare le modalità, a livello europeo, per accrescere gli investimenti pubblici, sia attraverso deroghe ai vincoli di bilancio, sia attraverso l’individuazione di canali di finanziamento specifici a livello comunitario.

Un aumento degli investimenti pubblici sarebbe, fra le misure di politica di bilancio, quella con maggiori probabilità di conseguire effetti positivi sulla crescita nel medio periodo. Su questo tipo di proposte sarebbe importante riuscire a fare convergere un ampio numero di paesi europei in modo che non venga percepito come il tentativo di alcuni paesi periferici di eludere gli obiettivi di convergenza. Va ricordato, infine, che se manovre dello stesso genere, e comunque di segno espansivo, venissero adottate contemporaneamente in tutti i paesi dell’area euro l’effetto sulla crescita sarebbe maggiore e l’impatto sul deficit sarebbe inferiore rispetto a quanto abbiamo indicato. Una politica di questo genere- conclude la Confesercenti – potrebbe aiutare l’intera area euro ad affrontare un anno pieno di incertezze come il 2015.