Decentrare i poteri e le risorse non è più rinviabile: lo dicevo già nell’aprile del 2022, in un’intervista al Südtiroler Wirtschaftszeitung, il giornale in lingua tedesca degli imprenditori sudtirolesi, gente che, di Autonomia, se ne intende. Autonomia che, se comunque non sarà quella dell’Alto Adige, permetterebbe comunque al Veneto di generare, a parità di risorse, migliori risultati in termini di qualità e quantità di servizi erogati ai cittadini.
Nel dibattito in corso trovo tanti aspetti ideologici e poco pragmatismo, a cominciare dalla posizione della Sardegna che, da regione Autonoma, dovrebbe sostenere le ragioni dell’Autonomia invece di accampare possibili danni all’isola se la legge promulgata il 26 giugno dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, peraltro senza messaggi di accompagnamento, dispiegasse il suo potenziale.
È necessario non dimenticare che nel referendum dell’ormai lontano 2017 l’Autonomia raccolse una “percentuale bulgara”. Nessuna disaffezione e nessuna assenza tattica, da parte mia, alla recente festa: semplicemente ero impegnato in altra sede. E, d’altra parte, non so quante volte sono stato a fianco del presidente Zaia per sostenere un’autonomia che, per noi, è un passaggio cruciale verso una responsabilizzazione degli amministratori pubblici, parte dei quali, evidentemente, teme che il giudizio dei cittadini possa non essere così favorevole.
Responsabilità. È questa la parola che, con ogni probabilità, fa paura. Nelle scorse settimane la Cgia di Mestre ha fornito un dato piuttosto eloquente: se si depurano i trasferimenti Stato–Regioni della componente pensionistica (che poi sono pur sempre soldi che i lavoratori hanno inviato a Roma per poi riceverli di ritorno), il Veneto finisce a fondo classifica con 6.391 euro pro capite effettivamente trasferiti. Stanno un po’ meglio Lombardia e Piemonte. La media nazionale è 7.439 euro, ma la Sardegna ha 8.603 euro, la Liguria 8.445 e così via.
Ma c’è di più. Sempre lo studio della CGIA di Mestre, nel sottolineare che la pubblica amministrazione in Italia spende 1.083 miliardi di euro, ha anche rilevato che nel 2022 il 44,8% della spesa pubblica era imputabile alle amministrazioni locali ma nel 2002 era del 56%. Questo significa che lo Stato centrale ha aumentato la propria spesa a danno della periferia. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Paesi di consolidata Autonomia come sono il Belgio, la Spagna e la Germania dove la percentuale di fondi che arriva alle amministrazioni locali non va sotto il 68%. Per non parlare della Svizzera dove questa percentuale arriva al 77,7%.
Capisco che la battaglia politica giustifichi anche le giravolte più spettacolari, ma se quel 22 ottobre 2017, 2.273.000 cittadini veneti, pari al 98% dei votanti, si espresse per il “Sì” nel referendum per l’Autonomia, credo possa significare pur qualcosa. Così come credo che avesse un senso la richiesta di Autonomia che veniva dalla regione Emilia Romagna a guida Stefano Bonaccini. Se adesso tutto serve pur di contrastare le forze di governo, non è questa la partita degli imprenditori.
Un’ultima considerazione: se anche l’Autonomia veneta, dovesse ottenere, come ci auguriamo, gran parte delle deleghe richieste, non sarà paragonabile a quelle speciali della Valle d’Aosta, della Sardegna, della Sicilia e del Friuli Venezia Giulia e non potrà competere con le province autonome di Trento e di Bolzano, con quest’ultima, giusto per dire, che mantiene la quota fissa del 90% delle imposte riscosse sul territorio. Attenzione, però: a fronte di una media nazionale di evasione fiscale pari all’11,2%, l’Alto Adige è al 7,7% e il Trentino all’8,6%. Può voler dire qualcosa?
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