Rivalutazione delle pensioni: la manovra 2025 valuta altre sforbiciate

Negli ultimi due anni, i tagli hanno fatto perdere 10 miliardi di perequazione, specie ai trattamenti oltre la soglia di piena indicizzazione, penalizzando chi ha versato di più.

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Un taglio alla rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione sulla scia di quanto accaduto negli ultimi due anni potrebbe valere per il governo Meloni un risparmio di un miliardo secondo le proiezioni della Cgil che in un Report sulle pensioni ha sottolineato come negli ultimi due anni si siano recuperati con la mancata perequazione che ha colpito in particolare le pensioni quattro volte oltre il minimo di oltre 10 miliardi.

Se poi si considera il complesso dei risparmi che si cumulano sulla base delle misure già attivate nel decennio 2023-2032 riguardo alla rivalutazione delle pensioni, dato che quanto perduto dai pensionati non si recupera, si arriva a 61 miliardi lordi (36,8 netti).

«Il Governo – afferma la segretaria confederale Lara Ghiglionetorna nuovamente a colpire le pensioni per fare cassa. Le proposte che stanno circolando nelle ultime settimane destano grande preoccupazione. Dopo aver peggiorato la legge Monti/Fornero con le ultime due leggi di bilancio, eliminando qualsiasi flessibilità in uscita, si profilano nuovi tagli per il 2025».

Secondo il Report nel triennio 2023-25 una pensione che era di 1.732 euro netti nel 2022 subirà un taglio complessivo di 968 euro di mancata rivalutazione, mentre una pensione che valeva 2.029 euro netti nel 2022 subirà una perdita di 3.571 euro. Una pensione netta di 2.337 euro avrà una perdita da mancata rivalutazione di 4.487 euro, mentre per una pensione netta di 2.646 euro la perdita complessiva sarà di 4.534 euro.

I dati sulla mancata rivalutazione delle pensioni tengono conto del fatto che per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo si recupera l’85% dell’inflazione, mentre per quelle tra cinque e sei volte si recupera solo il 53% e appena il 22% per quelle superiori a 10 volte il minimo.

Secondo lo studio della Cgil, questi tagli, proiettati sull’aspettativa di vita media, possono raggiungere cifre molto elevate: da 8.772 euro per un pensionato con 1.732 euro netti, fino a 44.462 euro per chi percepisce 2.646 euro netti. E ancora di più per i trattamenti superiori. Uno stop all’ipotesi di un taglio alla rivalutazione arriva anche dalla Cisl e dalla Uil che tornano a chiedere al Governo un incontro con le parti sociali sul sistema previdenziale.

Ma se sulle pensioni già in essere la tentazione del governo Meloni sarebbe di sforbiciare ulteriormente specie sui trattamenti più alti, quelli che si basano anche su contributi più alti versati nel corso della vita per recuperare uno o due miliardi dei 10 che mancano alla quadratura dei conti 2025, una via di uscita sarebbe l’intervento di limatura su quei trattamenti che solo negli ultimi due-tre anni di carriera (ma talvolta anche nei sei mesi precedenti al ritiro lavorativo) hanno registrato l’impennata delle retribuzioni, cosa buona con il sistema retributivo a gonfiare artatamente per il resto della vita l’ammontare della pensione a fronte di una vita contributiva decisamente più modesta. Come accaduto a qualche sindacalista o a tanti servitori dello Stato.

In tema di pensioni, specie di future pensioni, sarebbe da intervenire per evitare che quelle interamente contributive trasformino i pensionati in nuovi poveri, con trattamenti inferiori anche del 50% rispetto agli ultimi stipendi. In particolare, sarebbe da azzerare il prelievo annuale al 26% sui rendimenti maturati delle casse previdenziali privatizzate, parificandole all’Inps, tale da dare maggiore consistenza alle pensioni e per evitare odiosi – e unici fenomeni a livello europeo – di doppia tassazione sul risparmio previdenziale, una volta nel corso del suo accumulo, e l’altra, giustamente, all’atto dell’incasso mensile del maturato. Peccato che su quest’aspetto, nonostante la denuncia alla Commissione parlamentare sulla previdenza delle casse professionali del presidente della Cassa dei commercialisti, sia sceso un silenzio di tomba da parte dei vari esponenti politici, altrimenti assai ciarlieri quando si parla di innalzare pensioni minime – si parla di portarle da 618 a 650 euro al mese con l’obiettivo di arrivare a 1.000 – a tutti coloro che sono sempre stati dei soggetti ignoti al Fisco e all’Inps.

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