Paesi Ocse: il Pil del II trimestre 2024 cresce, ma l’Italia è penultima nel G7

Peggio solo la Germania che va sotto zero. In Italia si discute della Finanziaria 2025 e di come finanziarla con un debito pubblico alle stelle.

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Paesi Ocse

Sale il Pil tra i paesi Ocse con l’Italia resta indietro rispetto ai paesi del G7. Secondo gli ultimi aggiornamenti diffusi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, gli stati membri sono cresciuti a una media dello 0,5% nel secondo trimestre del 2024 mantenendo così il ritmo dei tre mesi precedenti.

Il G7 invece accelera, passando dal +0,2% del primo trimestre al +0,5% del secondo, ma l’Italia fatica a stargli dietro: la crescita del Pil nazionale nel secondo trimestre si ferma al +0,2%, in rallentamento rispetto al +0,3% del primo trimestre. Un bilancio che colloca l’Italia al penultimo posto tra i paesi del G7 per crescita di Pil, con solo la Germania a fare peggio con un Pil negativo che apre ad uno scenario di recessione se anche il terzo trimestre, come pare probabile dalle previsioni, sarà negativo. A trascinare in basso il Pil tedesco, caduto dal +0,2% del primo trimestre a -0,1% nel secondo, è stato il calo negli investimenti fissi lordi su macchinari e attrezzature, oltre che un declino del settore delle costruzioni.

Il ritmo di crescita dei Paesi Ocse aumenta invece per gli Stati Uniti che, trainato dai consumi privati, tocca il +0,7% e si solleva dal +0,4% del primo trimestre. Lieve accelerata anche per il Canada (dallo 0,4% allo 0,5%) mentre l’andatura della Francia si mantiene stabile sul +0,3%. Il Giappone invece stacca tutti gli altri paesi del G7 nel secondo trimestre del 2024 e con un +0,8% si risolleva dal -0,6% del primo quarto dell’anno. Merito dell’aumento dei consumi privati. Ciò nonostante, confrontando i dati di anno in anno, l’economia giapponese è quella che ha subito la caduta più grave tra i pabesi del G7: -0,8% tra il secondo trimestre del 2023 e quello del 2024. Sono invece gli Stati Uniti quelli che nel gruppo dei sette sono cresciuti più di tutti negli ultimi 12 mesi.

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In generale, tra i paesi Ocse per i quali i dati sono disponibili, più della metà delle economie risulta in rallentamento nel secondo trimestre 2024. Una su tutte Israele, che dal 4,1% del primo quarto di anno è crollata allo 0,3%. In calo, ma sempre in campo positivo, anche Cile e Colombia, mentre Svezia, Lettonia, Lituania, Ungheria e Corea scendono sotto lo zero. Buone notizie invece per Polonia, Costa Rica, Irlanda e Olanda, che hanno raggiunto le prestazioni migliori dell’area Ocse.

Intanto in Italia si è aperta la trattativa per definire la Finanziaria 2025 che parte con la necessità di reperire risorse fresche per almeno 23-25 miliardi solo per confermare i provvedimenti di sgravio approvati nel 2023 e validi solo per il 2024.

Piatto forte sarà il riassetto dell’Irpef iniziato nel 2023 che nel 2025 dovrebbe estendersi anche ai redditi superiori alla soglia dei 35.000 euro per spingersi fino a 50.000 e forse anche a 60.000 per andare a dare respiro anche ai redditi della classe media, finora cornuta e mazziata perché ritenuta, a torto, troppo ricca. Per il vice-ministro all’economia, Maurizio Leo, «i nuovi sgravi dovranno riguardare la fascia di reddito dai 35.000 euro, dove si esaurisce il beneficio del taglio al cuneo fiscale, a 50.000 euro, anche qualcosa in più», anche perché oltre i 50.000 vige un’aliquota da esproprio al 43% (e del 35% tra i 28.000 e i 50.000).

L’obiettivo a regime è quello di scendere a due sole aliquote, rimodulando le detrazioni per evitare penalizzazioni. Questo appare però difficile da realizzare al momento. Può probabile che si possa invece ridurre di uno o due punti l’aliquota intermedia del 35%. Questo progetto è però legato a doppio filo al risultato del concordato preventivo biennale, il meccanismo in base al quale le partite Iva possono decidere di concordare – in base a specifici parametri di categoria – i versamenti fiscali da fare nei due anni. Sarà necessario capire quale gettito darà quest’anno questo strumento e quindi quanto potrà garantire anche il prossimo in modo praticamente automatico.

Questo, unito all’andamento del gettito fiscale che al momento sembra andare a buon ritmo con entrate che nei primi sei mesi sono state di 13 miliardi superiori al primo semestre 2023, potrebbe consentire l’abbassamento Irpef.

Ma una forte mano ai conti pubblici potrebbe arrivare dal coraggio politico, che finora il governo Meloni ha dimostrato solo parzialmente, di intervenire su quelle spese improduttive che albergano nel bilancio dello Stato che costano ogni anno una sessantina di miliardi tra spese e sgravi parcellizzati che vanno a vantaggio solo di una ristretta nicchia di contribuenti. L’interesse nazionale consiglierebbe la necessità di abolirli per liberare risorse in modo strutturale per interventi di maggiore ricaduta, vuoi per ridurre il debito pubblico, vuoi per finanziare servizi pubblici strategici come la sanità.

Altrettanto si potrebbe fare valorizzando meglio i beni pubblici, intesi come immobili sottoutilizzati o abbandonati o quote di partecipazione in società pubbliche, utilizzando strumenti finanziari che potrebbero consentire di raccogliere 250-300 miliardi di risorse da indirizzare esclusivamente alla riduzione del debito pubblico, liberando risorse fresche sotto forma di minori oneri finanziari da pagare ogni anno in termini di interessi.

 

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