Autonomia differenziata, continuano le impugnative delle regioni a guida Pd

Dopo non avere centrato le cinque regioni per chiedere il referendum causa gli errori della Puglia di Emiliano, ora fioccano le richieste di giudizio di costituzionalità. Il caso della regione speciale Sardegna che vorrebbe impedire maggiore autonomia alle ordinarie.

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Autonomia differenziata

Dopo che le regioni a guida Pd non sono riuscite a centrare il numero di cinque richieste di referendum a causa degli errori marchiani verificatesi nella Puglia guidata da Michele Emiliano, sulla legge dell’autonomia differenziata ora fioccano le richieste di giudizio di costituzionalità invocato sempre dalle stesse regioni a guida Pd, con la stranezza di una regione speciale come la Sardegna che “lotta” per impedire alle regioni ordinarie di cercare maggiore autonomia, quell’autonomia che i Sardi godono fin dal 1948, salvo spesso averla male utilizzata preferendo l’assistenzialismo del governo centrale.

Dopo la Puglia e la Toscana, due regioni entrambe ordinarie, la Sardegna è una regione a statuto speciale e interviene per difendere un privilegio che potrebbe, a dire del presidente, la grillina Alessandra Todde, essere leso dalla legge Calderoli: secondo l’esecutivo sardo «le disposizioni contenute nella legge sono irrimediabilmente in contrasto con molteplici norme della Costituzione e dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna e, per l’effetto, risultano lesive della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione Sardegna».

Un assist colto immediatamente dal “doge” del Veneto, Luca Zaia: «l’Italia osserva con perplessità la decisione della presidente di una regione a statuto speciale, che difende giustamente i propri privilegi, ma al contempo cerca di ostacolare i diritti sull’autonomia differenziata richiesti dal Veneto e da molte altre regioni a statuto ordinario. È una posizione incomprensibile per chi, come noi, ha lavorato seriamente per anni per arrivare a una riforma richiesta dai cittadini».

Ma la richiesta di un pronunciamento costituzionale sulla legge Calderoli sull’autonomia differenziata, se non rigettata al mittente dalla stessa Corte costituzionale, potrebbe costituire un interessante precedente, visto che la Corte costituzionale andrebbe a pronunciarsi su una legge che attua un principio contenuto direttamente nella stessa Costituzione che, secondo alcuni costituzionalisti, la tengono indenne da qualsiasi intervento referendario. Sarebbe una prima assoluta se la Corte costituzionale cancellasse una norma contenuta nella Costituzione stessa.

Critiche alla decisione della regione Sardegna arrivano dal mondo autonomistico trentino: per il Patt «si tratta di una decisione scandalosa, un atto inaccettabile e contrario ad ogni logica».

E a chi afferma che l’autonomia differenziata aumenterebbe il divario tra le varie regioni italiane, il Patt con il suo segretario Simone Marchiori ha facile gioco nel rispondere che «il sistema centralista che caratterizza l’Italia dalla sua nascita che non ha risolto il divario fra le varie Regioni». E il caso della regione autonoma Sardegna è lì a dimostrarlo in tutta la sua potenza, così come quello della regione Sicilia, forse la realtà più autonoma di tutte e cinque le regioni speciali per la vastità delle competenze, salvo essere utilizzate male, spesso in logica clientelare e mai come autoresponsabilità ed esempio di buon governo.

In tema di Autonomia, per il Patt «è giunto il momento di cambiare, dando la responsabilità e la libertà ai vari territori di autogestirsi. Non cambiare nulla significa perpetuare un sistema che legittima l’incapacità di governare e non favorisce l’emergere di una classe dirigente all’altezza dell’autogoverno. E ci stupiamo che le forze politiche di opposizione nazionale, comprese quelle di sinistra, invece di proporre un sistema che vada nella direzione di migliorare le condizioni dell’Italia (anche coerentemente con le modifiche costituzionali regionaliste da loro stessi volute), non sanno fare altro che opporsi ad ogni tipo di riforma condannando l’Italia all’immobilismo, alla conservazione e alla marginalità».

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