Mancano autisti per camion e autobus

Secondo la Cgia, entro i prossimi 10 anni la metà di chi oggi lavora al volante sarà in meritata pensione. Il problema di assicurare il ricambio per un settore strategico ma poco attrattivo.

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mancano autisti

In Italia mancano gli autisti per camion e autobus: si stima siano almeno 22.000 i professionisti del volante che non si trovano sul mercato del lavoro. Un problema che riguarda tutta Europa dove trovare autisti da mettere alla guida di un Tir o di un autobus è diventata un’impresa quasi proibitiva.

Stress, impegno fisico e orario di lavoro che si distribuisce lungo la gran parte della giornata hanno reso questa professione meno attrattiva di un tempo. Non solo, permane ancora una forte barriera all’ingresso; per mettersi alla guida di un Tir o di un autobus è necessario, per legge, conseguire la patente di guida professionale (CQC) che ha un costo di migliaia di euro che scoraggia, in particolare i giovani, a intraprendere questo mestiere. A fronte di queste criticità, non sono poche le aziende di autotrasporto che da qualche anno si stanno facendo carico di questo costo per facilitare le assunzioni. Nonostante ciò, come conferma l’Ufficio studi della Cgia, mancano autisti e la loro ricerca è sempre più difficile.

Visto che il numero delle aziende di autotrasporto sta diminuendo, anche per via della riorganizzazione del settore che sta premiando le acquisizioni e le aggregazioni di impresa rendendo le realtà più strutturate rispetto alla figura imperante dei “padroncini” di qualche lustro fa, nel giro di qualche anno, a seguito della difficoltà di trovare nuovi autisti, non è da escludere che il settore sprofondi in una grossa crisi per mancanza di personale viaggiante.

Qualche segnale preoccupante si sta già vivendo nel trasporto pubblico locale: anche qui  mancano autisti tanto che diminuisce in misura preoccupante l’offerta di autobus, tram e metro in servizio con gravi disagi per i turisti e i pendolari per il minore numero di corse.

Con meno camionisti, perché molti andranno in pensione e solo una piccola parte sarà sostituita dalle nuove generazioni, il rischio è che fra meno di un decennio il settore non sia più in grado di soddisfare interamente le richieste di trasporto merci avanzate dai committenti, specie in una realtà come quella italiana dove oltre l’80% delle merci viaggia su gomma.

Rispetto al 2019, il numero dei titolari della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC) di merci è diminuito di quasi 410.000 unità. Cinque anni fa erano poco meno di 1,2 milioni, ora sfiorano quota 770.000. Se la coorte dei giovanissimi (con meno di 25 anni) è in aumento del 65,9% (anche se in valore assoluto si registra un modesto +2.855), le fasce demografiche tra i 30 e i 54 anni hanno subito un vero e proprio crollo (mediamente del 45/50%). E’ importante segnalare che rispetto allo stock attuale, gli ultra 50 sono poco più di 412.000, pari al 53,7% del totale. Pertanto, è prevedibile ritenere che fra 10 anni la stragrande maggioranza di questi lavoratori uscirà dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. Insomma, un autista su 2 lascerà definitivamente la guida professionale.

Ebbene, chi sostituirà queste persone se non si riesce a invertire la tendenza in atto? Anche perché con la cessazione della leva militare obbligatoria sono venuti meno i giovani che conseguivano la patente C e D durante il servizio, che poi veniva convertita nel documento civile, utile per svolgere il lavoro di autista senza alcuna spesa.

Negli ultimi 10 anni lo stock complessivo delle imprese di autotrasporto presenti in Italia è diminuito di 21.248 unità. Se nel 2013 erano 101.935, nel 2023 sono scese a 80.687 (-20,8 per cento). A livello regionale le situazioni più critiche si sono verificate in Valle d’Aosta con una contrazione del 33,7% (in valore assoluto pari a -33), in Friuli Venezia Giulia del 32,3% (-573), nel Lazio del 30,7% (-2.733), in Liguria del 30% (-773) e in Piemonte del 29,9% (-2.907). Calo marcato anche nel NordEst, con il Friuli Venezia Giulia a –32,34%, l’Emilia Romagna a –27,29%, il Veneto a –21,55% e il Trentino Alto Adige quasi stabile a -1,15%.

 

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