Con il via libera della Puglia, nonostante il parere contrario espresso nei giorni scorsi dalla commissione regionale sulle Riforme, salgono a cinque le regioni che hanno votato la richiesta di indizione di un referendum sull’autonomia per l’abolizione della legge Calderoli.
In base all’articolo 75 della Costituzione, il referendum abrogativo può essere chiesto da 500.000 cittadini oppure da cinque consigli regionali. Un obiettivo, quest’ultimo, ora centrato.
L’iter innescato dalle cinque regioni a guida progressista era partito l’8 luglio scorso con il “Sì” della Campania su un testo che poi ha rivelato alcuni errori di approssimazione dovuti alla fretta. Sul medesimo testo – perché la richiesta di referendum abrogativo deve essere votata sul medesimo testo da tutte le regioni che lo chiedano – si sono poi pronunciati a favore i consigli regionali di Emilia Romagna, Toscana e Sardegna.
La sfida vinta dal campo largo a livello regionale innesca la richiesta di referendum abrogativo per la legge nazionale n. 86 sull’autonomia differenziata, voluta dalla Lega e portata all’approvazione dal ministro agli Affari regionali, Roberto Calderoli.
Il quesito referendario è diviso in due parti, una che intende abolire interamente la norma appena approvata e l’altra che punta ad una modifica parziale.
«Non prendiamo una decisione per consolidare le bandiere, ma per far prevalere la ragione, con l’obiettivo di ricreare uno spirito di difesa dell’unità d’Italia», aveva detto il governatore Vincenzo De Luca quando l’Aula della Campania ha approvato con il voto del centrosinistra, compreso il M5s (che è all’opposizione della Giunta e per «senso di responsabilità» ha ritirato i suoi emendamenti) e di alcuni consiglieri di Azione, che invece a livello nazionale con Calenda si è dissociata dalla campagna referendaria.
Il governatore pugliese, Michele Emiliano, in quei giorni, ribadiva che l’autonomia differenziata «per come l’ha definita Calderoli è una guerra di tutti contro tutti».
Comunque sia, i fautori dell’abrogazione della legge Calderoli con il referendum sull’autonomia paradossalmente finirebbero con il fare un grande favore agli autonomisti della b, le regioni Veneto e Lombardia, cui poi si sono aggiunte Piemonte e Liguria, mentre si è sfilata l’Emilia Romagna. Come ha sottolineato l’ex senatore della Lega Nord, Paolo Franco, l’esito positivo del referendum sull’autonomia non farebbe altro che fare vivere la procedura già inserita nella Costituzione riformata proprio dal centro sinistra agli inizi degli anni Duemila, cui la legge Calderoli apporta un’inutile superfetazione che, di fatto, ne limita la portata, accompagnando la maggiore autonomia con l’attuazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione sulle 27 materie trasferibili dallo stato alle regioni.
Peccato solo che al momento manchino i fondi per applicare 18 delle 27 materie, con il risultato che queste rimarrebbero di fatto nelle mani dell’amministrazione centrale, mentre potrebbero essere delegate alle regioni quelle 9 materie che non prevedono aggravio di spesa.
Tornando in vita la disposizione della Costituzione, sottolinea Franco, «ciascuna regione che lo volesse potrebbe chiedere al governo di aprire una trattativa diretta per il trasferimento di tutte e non solo di una parte delle materie, senza attendere l’attuazione dei Lep che dalla loro definizione ad oggi, dopo oltre vent’anni, non sono mai stati attuati e, probabilmente, mai lo saranno, almeno finché non migliora decisamente il bilancio statale».
Di fatto, Shlein, De Luca & C. con la loro richiesta di referendum abrogativo rischiano di fare un grosso e inatteso favore agli autonomisti veraci, quelli che all’Autonomia ci credono e tanto, mica come quelli mosci al moijto papeetiano che al processo autonomistico hanno sempre creduto ben poco.
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