Luigi Brugnaro: si complica la situazione del sindaco di Venezia

I Pm: «sistematico perseguimento suoi interessi». «Il blind trust non funziona, controllato da suoi uomini». «Ripetuti conflitti di interesse del sindaco».

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luigi brugnaro Sindaco venezia Luigi Brugnaro

La situazione giudiziaria e politica del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, si va complicando, con la Procura di Venezia che fa emergere una situazione gestionale preoccupante della cosa pubblica, con «un sistematico perseguimento di interessi personali»: questo uno dei passaggi più pesanti presenti nell’atto d’accusa che la Procura di Venezia formula nei confronti del sindaco Luigi Brugnaro, indagato per presunta corruzione in atti amministrativi assieme ai duefedelissimi”, il capo e il vice capo di gabinetto, rispettivamente Morris Ceron e Derek Donadini.

Ma è tutto l’impianto di governo comunale ad essere messo all’indice dai sostituti procuratori Roberto Terzo e Federica Baccaglini: fin dall’inizio, scrivono nelle richieste di misure cautelari dell’inchiesta, sarebbe emerso «un contesto amministrativo improntato a un’illegittimità diffusa» soprattutto nei settori urbanistico, dell’edilizia e delle gare d’appalto.

E anche quelli che «hanno avuto l’evidenza» del «mercimonio della funzione pubblica» dell’ex assessore Boraso, aggiungono i Pm, «si sono però ben guardati dal riprenderlo, dal censurarlo, dal denunciarlo».

Tutte ipotesi d’accusa da dimostrare e che il sindaco ha respinto recisamente, dicendosi certo di dimostrare «nelle aule di giustizia di essere un galantuomo». Eppure, è proprio il “castellocostruito attorno alle proprietà del sindaco, il “blind trust” che doveva impedirgli ogni ingerenza negli affari privati, secondo i Pm, a non reggere. Il “fondo cieco”, creato nel 2017, dicono i magistrati, «è inefficace», perché «è evidente come Brugnaro non abbia in realtà dismesso la propria partecipazione» alle società. Un trust in mano ai «fedelissimi», che «hanno svolto e svolgono tuttora l’incarico di amministratori del reticolato di società».

La storia dell’inchiesta, avviata nel 2022 su esposto di un imprenditore trevigiano, è raccolta in un fascicolo di 940 pagine. Sono 32 complessivamente gli indagati, tra i quali anche l’ex assessore alla Mobilità, Renato Boraso, finito in carcere, e i citati Ceron e Donadini. La Procura, nella richiesta delle misure cautelari, indaga su tutti gli altri 28 imprenditori per gli 11 presunti atti corruttivi legati a Boraso e Brugnaro, e su una serie di false fatturazioni per coprire le tangenti ai politici da parte di 14 società in tutto.

Un fascicolo a parte, sempre per corruzione, legato alle trattative per la vendita dell’area de “I Pili” e di Palazzo Papadopoli, è stato aperto anche nei confronti del principale accusatore, l’imprenditore Claudio Vanin. Nel registro delle indagini sono iscritti anche il miliardario di Singapore, Ching Chiat Kwong, e il suo emissario italiano, Carlo Louis Lotti.

Tutte le interferenze sull’attività amministrativa, notano i Pm, «sono avvenute senza nessuna reazione e opposizione da parte dei funzionari», segno che per loro era «prassi consolidata e accettabile». Il faro puntato dai magistrati su Brugnaro ha a che vedere con l’effettivo funzionamento del “blind trust”, e con l’area de “I Pili”, 41 ettari di laguna, inquinata, acquistata dall’imprenditore di Umana per 5 milioni di euro, e la cui «messa a profitto era il continuo cruccio per Brugnaro». Anche quando l’affare – proposto prima a b milioni, poi a 150 milioni – sfuma «l’interesse per il proficuo utilizzo dei Pili non è mai cessato. Si può anzi affermare, anche alla luce delle attività di intercettazione, che essa costituisce, permanentemente, un cruccio per il sindaco».

Quanto al fatto che Luigi Brugnaro e collaboratori figurino solo come indagati nell’inchiesta, ciò è dovuto al fatto, scrivono i Pm, che il reato ascritto per la vendita di Palazzo Papadopoli – l’operazione propedeutica all’acquisto de “I Pili” – risale al 2016, e «il decorso di oltre sei anni dai fatti rende inattuali le esigenze cautelari».

Ma tornando ai conflitti di interessi di Brugnaro tra la sua attività di imprenditore e di amministratore pubblico, per i sostituti procuratori Roberto Terzo e Federica Baccaglini i vertici comunali appaiono «scelti tra i più intimi dipendenti delle imprese private, gestite di fatto dal sindaco stesso pur dopo la costituzione di un trust». Una scelta «pubblicamente rivendicata dallo stesso Brugnaro come strumento per migliorare l’efficienza della “macchina”»; solo che – osservano i magistrati – ci vorrebbe «una condizione di reale distacco tra l’ambito operativo delle società private e quello dell’ente territoriale» o con «accorgimenti che impediscano in radice ogni commistione». Per i Pm «così non è stato, e questo ha avuto sicura rilevanza nelle vicende illecite poi emerse».

Esemplare la vicenda della tentata vendita dell’area de “I Pili” all’imprenditore singaporese Ching Chiat Kwong: non «una semplice trattativa», annota la Procura, ma «un lungo percorso non portato a conclusione, in cui le parti hanno condiviso e co-deciso pure i dettagli del progetto», poi autorizzato dal Comune. C’era di realizzare «un intervento edilizio mastodontico», inizialmente di 168.000 metri quadri poi 430.000 con alberghi, un palasport prima da 10.000 poi da 16.000 posti, una casa di riposo, «la cui consistenza – annotano i Pm – è stata decisa assieme fin nei dettagli, con la garanzia che il venditore l’avrebbe fatto approvare nella sua veste di amministratore comunale».

Nelle casse dell’imprenditore Brugnaro sarebbero arrivati 150 milioni dalla vendita dei terreni, sia come denaro che come palasport, costruito da Ching e poi dato in dote alla pallacanestro Reyer, società sportiva appartenente alla galassia Brugnaro. Lo stop nella primavera 2018, non fu dovuto alla «desistenza delle parti» ma per la scoperta, da parte di Ching e dei suoi collaboratori – tutti indagati – che il terreno era pesantemente inquinato e «subito dopo il clamore derivato da articoli di stampa che svelavano la trattativa e denunciavano la commistione di interessi nella persona del venditore dei terreni e detentore dei poteri autorizzativi».

Fallita l’operazione, Luigi Brugnaro non si è fermato e ha dato avvio un anno dopo a un programma alternativo, il piano urbanisticoPums” che prevedeva due centri di interscambio tra il centro storico di Venezia e la terraferma, uno dei quali a “I Pili”, con una «cospicua rivalutazione» dei terreni effettuata nel 2020 dalla società proprietariaPorte di Venezia” – detenuta dal cosiddetto “blind trust” – da 14 a 70,3 milioni di euro, giustificata da Brugnaro con la presenza dell’area in altri due progetti urbanistici precedenti, che però, a detta dei Pm, contenevano solo «una valutazione preliminare e non potevano essere attuati perché restava da fare la bonifica».

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