Economia italiana: Bankitalia e Confcommercio frenano gli ardori del ministro Giorgetti

Le stime di crescita della Nazione per il 2024 sono più prudenti di quelle del governo, con una crescita variabile tra lo 0,6 e lo 0,9%. Il problema del deficit pubblico che continua a crescere.

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economia italiana Italia più povera Centro studi Confindustria

Bankitalia, così come Confcommercio e pure Confindustria, frenano sulle stime di crescita all’1% dell’economia italiana e anche oltre formulate dal ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti, puntando su una spinta alla crescita più moderata e, probabilmente, realistica, mentre in agguato rimane sempre il problema della spesa pubblica al galoppo che inanella continui deficit di bilancio, con il primo trimestre 2024 che si è chiuso, secondo l’Istat, con un “rosso” di ben l’8,8%, quasi il triplo del parametro di Maastricht (il 3%), nonostante che gli effetti nefasti del Superbonus grillino siano ormai stati sterilizzati.

Per Bankitalia l’economia italiana cresce «a ritmo moderato» spinta dall’esplosione del turismo dove però il surriscaldamento dei prezzi di alloggi, ristorazione e altri servizi, frena la discesa dell’inflazione che resta comunque sotto il 2%. Il bollettino economico della Banca d’Italia per ora resta ancora ancorato a quella stima di +0,6% del Prodotto interno lordo per il 2024 diffusa a giugno in ambito Bce anche se, come ha spiegato il governatore Fabio Panetta all’assemblea dell’Abi del 9 luglio, il secondo trimestre ha visto un Pil più o meno uguale a quel +0,3% dei primi tre mesi dell’anno.

Il consensus economico la stima comunque a +0,8% per i 12 mesi. Numeri che avevano indotto, nella stessa occasione, il ministro dell’Economia Giorgetti a definire alla portata l’obiettivo dell’1% scritto nel Def dal governo. Sulla linea prudente di Banca d’Italia (lo stesso Panetta aveva avvisato di non lasciarsi andare a un «eccessivo ottimismo») è anche Confindustria. Nella sua “congiuntura flash” (si veda l’articolo pubblicato ieri) non fornisce numeri, ma avvisa che si tratta di una «crescita lenta», «cresce (poco) il Pil in Italia». E Confcommercio in un suo rapporto stima un magro +0,1% nel secondo trimestre, ma con un +0,9% nell’intero anno.

Si vedrà se i mesi estivi, grazie al comparto turistico e dei servizi, possano dare quella spinta ulteriore all’economia italiana e se l’autunno sarà privo di elementi negativi anche sul fronte internazionale. Se infatti le presenze record di stranieri (oltre ai turisti nazionali) e la conseguente crescita della spesa fanno ben sperare l’ampio comparto dei servizi, la manifattura nazionale prosegue nella sua flessione, trainata in basso dai forti cali di Germania e Francia, tradizionali mercati di sbocco della produzione della componentistica italiana.

Preoccupa la lentezza del taglio dei tassi Bce dopo la prima limatura dello 0,25% di giugno: il peso del debito sulle imprese resta quindi elevato e la ripresa dei finanziamenti, in calo da diversi mesi, non è ancora all’orizzonte con conseguenze anche sul mercato immobiliare. E l’inflazione ancora alta in Europa (attorno al 2,5% di media, mentre in Italia è ampliamente sotto l’1%) potrebbe consigliare la Bce a rimandare altri tagli all’autunno, seguendo l’americana Federal Reserve, dove l’economia rimane surriscaldata mentre in Europa rischia la stagnazione complice l’andamento negativo soprattutto di Francia e Germania.

Ma il problema più grosso per il governo Meloni e per il ministro Giorgetti è l’arginare la spesa pubblica ormai oltre i 1.000 miliardi all’anno, che ha riflessi anche sull’aumento del deficit pubblico, andato peggiorando dal 2020 ad oggi. Se dal 2013 al 2020 l’Italia aveva realizzato saldi primari positivi, ovvero al netto della spesa per gli interessi sul debito pubblico il saldo del bilancio pubblico era positivo, dal 2020 la situazione è pesantemente peggiorata, con ben 16 trimestri consecutivi con il saldo primario negativo (al 31 marzo 2024 era in “rosso” per il 5,5% del Pil), ponendosi ben di sopra il parametro per il rientro del debito pubblico del 3%. E il piano di rientro concordato con Bruxelles si fa sempre più in salita, complice la crescita lenta del paese e una spesa pubblica che non si pota con la dovuta energia, così come, nel loro privato, hanno già dovuto fare famiglie ed imprese.

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