Il cantautore napoletano offre al pubblico un recital di oltre 100 minuti
di Giovanni Greto
Un recital di oltre 100 minuti senza soluzione di continuità, goduto in maniera rilassata e con la sensazione di stare ad ascoltare un amico che ti vuole bene, e che ti vuol far trascorrere piacevolmente una serata, per ringraziarti come se lo avessi invitato a cena. Questa la sensazione provata assistendo al concerto di Peppe Barra, “Vurria addeventare”, inserito nella sezione “Altre musiche” del festival “Lo spirito della musica di Venezia”, ideato dalla Fondazione Teatro La Fenice.
Il carismatico attore e cantante, recentemente riportato all’attenzione del pubblico grazie al film di John Turturro “Passione” e al tour musicale che ne è seguito, ha proposto una selezione di brani significativi della musica partenopea, a partire dal 1600, alcuni dei quali appartenenti al repertorio della “Nuova Compagnia di canto popolare”, da lui costituita assieme a Roberto De Simone, con lo scopo, anche, di far conoscere l’importanza della musica napoletana fin dai tempi antichi, ricercando e recuperando l’immenso repertorio tradizionale.
17 i brani interpretati da Barra, mentre il sestetto che lo accompagnava, ha eseguito due brani strumentali, per consentirgli di rifiatare e di cambiarsi d’abito: una concitata “Pizzica”, che tradizionalmente aveva la funzione di guarire dal morso della taranta e una versione in stile “Old Jazz” di “Softly as in a morning sunrise”, uno standard jazz rivisitato tra gli altri da John Coltrane e Sonny Rollins. Da “Jesce sole”, invocazione barocca che auspicava la nascita non solo dell’astro, ma anche di un buon governo, e brano d’esordio de “La gatta cenerentola”, favola in musica in tre atti che Roberto De Simone trasse dalla sesta novella del “Pentamerone”, ossia “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile nato a Napoli tra il 1566 e il 1575 e morto a Giugliano nel 1632, il recital è cresciuto brano dopo brano, fino al bis “Uocchi”, preteso da una platea sempre più affettuosa.
La voce di Barra, potente, intonata e ricca di sfumature, accanto ad una perfetta arte attoriale, hanno dato nuova linfa a canzoni come “La pansè” e “Tannuriata nera”, un testo, quest’ultimo, scritto nell’immediato dopoguerra, ed ispirato dai numerosi bambini di colore italo-americani, spesso frutto non voluto dalle donne napoletane, costrette dai soldati yankees a consumare rapporti sessuali. Verso la fine, l’istrionico interprete napoletano ha voluto rendere omaggio ad un amico di famiglia, Giorgio Gaber, reinterpretando “Shampoo”, a Fabrizio De Andrè, con una versione di “Bocca di Rosa” tradotta in napoletano da Vincenzo Salemme e a Bob Marley, tramutando “No woman, no cry” in “No, nun chiaggnere chiù”. Tra i musicisti, attenti e puntuali, si sono riconosciuti Paolo del Vecchio alle chitarre, Luca Urciuolo al pianoforte e alla fisarmonica e Ivan Lacagnina alla batteria, al pandeiro e alla tamorra, tutti protagonisti in “Passione”. Meritano un applauso anche Max Sacchi al clarinetto e al clarinetto basso, Giorgio Mellone al violoncello e Sasà Pelosi alla chitarra basso acustica.