Il deficit pubblico nazionale si combatte solo con crescita reale

L’Italia nuovamente sul crinale della stagnazione e della crescita stentata con la mordacchia dei piani Ue di rientro dal debito.

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Il deficit pubblico, finito nascosto sotto il tappeto della campagna elettorale, torna ora in piena vista dopo i richiami di vari organismi nazionali ed internazionali sulla delicatezza dell’equilibrio dei conti pubblici italiani dopo i disastri lasciati dai governi precedenti.

«L’economia italiana, negli scorsi giorni, è stata al centro di un intenso scrutinio da parte delle principali istituzioni europee. Commissione europea, Ufficio parlamentare di bilancio e Banca centrale europea hanno emesso giudizi severi, ma in qualche modo necessari per indicare la rotta che l’Italia deve seguire per evitare di scivolare nuovamente nella stagnazione e nell’aumento inarrestabile del rapporto debito/Pil – analizza il Centro studi di Unimpresa -. I documenti pubblicati rivelano chiaramente i pregi e i difetti del nostro sistema economico, fornendo spunti cruciali per le politiche future. Le Raccomandazioni dell’Unione europea, in particolare, offrono lo spunto per una riflessione sulla crescita del debito in termini di Pil. Il ragionamento trae fondamento dai danni provocati dall’austerità passata e sottolinea come l’unica via percorribile per ridurre il rapporto debito/Pil sia puntare decisamente sulla crescita reale. Il periodo 2021-2022 è stato un chiaro esempio di come una crescita adeguata del Pil possa coprire anche ampi deficit».

Per quanto riguarda le indicazioni sulla crescita – spiegano gli analisti di Unimpresa – le raccomandazioni sono chiare. Primo: recuperare il gap con la media europea in capacità di innovazione dove gli investimenti sono la chiave per rilanciare la produttività e la competitività del Paese. Attualmente, la spesa italiana in R&S è significativamente inferiore rispetto alla media europea, un divario che si deve colmare con urgenza.

Inoltre, gli investimenti in capitale umano e tecnologia devono essere potenziati per chiudere il gap della produttività del lavoro, fermo ormai a trent’anni fa. Non è stata l’eliminazione della scala mobile a causare questa stagnazione, bensì la mancanza di investimenti strutturali. Incentivare la formazione e l’adozione di nuove tecnologie, secondo Unimpresa, può riattivare la crescita della produttività.

Terzo: affrontare il problema demografico. La bassa natalità e la fuga di cervelli sono emergenze che incidono pesantemente sui conti pubblici e sulla produttività del Paese. L’Italia è un Paese per vecchi e di vecchi, e senza interventi decisi rischiamo di vedere un ulteriore deterioramento delle nostre risorse umane.

Quarto: migliorare il sistema produttivo. Le imprese italiane oggi chiedono sempre meno prestiti, un segnale preoccupante che riflette i venti di recessione in arrivo. È essenziale creare un ambiente economico che incentivi gli investimenti e l’innovazione, fornendo alle imprese gli strumenti necessari per competere a livello internazionale.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, di fronte a queste sfide, i nuovi vincoli europei offrono un quadro impegnativo, ma necessario. Il nuovo Patto di stabilità impone all’Italia di ridurre il rapporto debito/Pil al 60% entro il 2070, un obiettivo che implica un aumento immediato e permanente del saldo primario di circa il 4,5% del Pil per limitare il deficit pubblico. Per i Paesi dell’area euro, Italia inclusa, ciò significa un impegno significativo per garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Un aspetto cruciale che emerge dalle raccomandazioni europee è la necessità di basare la crescita sugli investimenti e sui consumi interni, piuttosto che sulle esportazioni nette. Affidarsi eccessivamente alle esportazioni rischia di trasformare l’Italia in un’economia emergente, fragile e dipendente dalle fluttuazioni del mercato globale. Uno sguardo alla Germania – osserva l’associazione – può offrire utili lezioni. Il rapporto debito/Pil tedesco è sotto il 70%, grazie a una pressione fiscale in linea con la media europea, ma con un’imposta sui redditi significativamente alta. La Germania ha saputo creare ricchezza privata trasformata in tasse, un percorso precluso all’Italia a causa delle politiche di austerità.

Dal 2011 al 2021, l’Italia ha acquisito 300.000 società di capitali, ma ha perso quasi un milione di società di persone e persone fisiche, un saldo negativo di 700.000 imprese che riflette l’invasività dello Stato nell’economia nazionale.

Il problema dell’Italia non è la mancanza di risorse, ma l’impiego inefficiente delle stesse. Le risorse sono spesso utilizzate per fini elettorali, creando un effetto valanga di inefficienza cronica e pesanti riflessi sul deficit pubblico Nel 2013, anno dell’austerità, la spesa per i dipendenti pubblici era al 10,3% del Pil, mentre oggi è scesa all’8,9%, ma il deficit è aumentato dal -2,9% del 2013 al -7,4% del 2023.

«Le patologie dell’economia italiana sono note da tempo e le soluzioni esistono. Ma ciò che manca è la volontà politica e la visione lungimirante. I nostri leader sono troppo spesso concentrati sul prossimo seggio piuttosto che sul futuro del Paese – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. È tempo di cambiare rotta, di investire nel nostro futuro e di adottare politiche che possano garantire una crescita sostenibile e inclusiva. Dunque, l’Italia si trova a un bivio. Possiamo scegliere di continuare sulla strada della stagnazione e dell’inefficienza, o possiamo adottare le riforme necessarie per rilanciare la nostra economia. La scelta è nelle nostre mani e il futuro del nostro Paese dipende dalle decisioni che prenderemo oggi».

A Giorgia Meloni il timone per portare la famiglia Italia fuori dalle secche del deficit pubblico e della politica clientelare ed inefficiente.

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