X Rapporto sulla Bioeconomia di Assobiotec, Cluster Spring e Intesa Sanpaolo

Nel 2023 l’insieme delle attività connesse in Italia ha generato un valore della produzione pari a 437,5 miliardi di euro, 9,3 in più rispetto al 2022. Nei principali quattro paesi europei (Francia, Germania, Spagna e Italia), il settore vale 1.751 miliardi di euro.

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Nel 2023 l’insieme delle attività connesse alla Bioeconomia in Italia ha generato un valore stimato pari a 437,5 miliardi di euro, 9,3 miliardi in più rispetto al 2022 e occupando circa due milioni di persone. Il dato è contenuto nel X rapporto sulla Bioeconomia presentato a Ravenna dal Cluster Spring, Assobiotec-Federchimica e Intesa Sanpaolo.

Dopo l’accelerazione registrata nel 2022, quando il valore della produzione della Bioeconomia si è attestato su livelli pari a 428,3 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto al 2021 (+65,5 miliardi di euro), anche per effetto del significativo aumento dei prezzi alla produzione, nel 2023proseguita la crescita del settore, ma a un ritmo meno intenso e pari al 2,2%. Più stabile invece l’occupazione, su livelli di circa 2 milioni di occupati in tutto il periodo considerato (2021-23). Nel 2023 la Bioeconomia italiana pesa il 10% in termini di valore della produzione e il 7,6% per quanto riguarda l’occupazione sul totale dell’economia del nostro Paese.

Considerando Francia, Germania, Italia e Spagna nel complesso, la Bioeconomia ha generato nel 2023 un valore di circa 1.751 miliardi di euro, occupando oltre 7,4 milioni di persone, che rappresentano l’8,4% e 6% rispettivamente sui valori complessivi dei 4 paesi europei.

Le stime relative al 2023 confermano quanto già emerso nelle precedenti edizioni del Rapporto. In termini assoluti, spicca il valore della Bioeconomia tedesca, al primo posto per valore della produzione (542,9 miliardi di euro) e per numero di occupati (circa 2,1 milioni di persone). In termini di valore, la Francia si posiziona al secondo posto (459,1 miliardi di euro), seguita da Italia (437,5 miliardi) e Spagna (311,9 miliardi). L’Italia si posiziona al terzo posto per valore della produzione e al secondo posto per occupazione, con circa 2 milioni addetti, seguita da Francia (1,8 milioni) e Spagna (1,5 milioni). In termini relativi spiccano invece soprattutto in Spagna e Italia.

Il 2023 è stato un anno positivo anche per la Bioeconomia in Francia (+5,1%) e Spagna (+4,2%), registrando un ulteriore aumento dopo la crescita già osservata nel 2022. Ha, invece, registrato un calo la Bioeconomia tedesca (-6,9%), condizionata da segnali negativi nella maggior parte dei comparti. Confrontando i livelli dell’output della Bioeconomia nel 2023 rispetto al 2021 si osservano risultati positivi per tutti i paesi, con indicazioni migliori per l’Italia, che registra un incremento del 20,6% lievemente superiore a quello francese (20,1%); seguono Spagna (17,4%) e Germania (12,6%).

La vitalità della Bioeconomia in Italia è testimoniata dalle 808 start-up innovative censite nel 2023, pari al 6,6% del totale delle imprese iscritte all’apposito Registro. La maggior parte delle start-up innovative della Bioeconomia, diffuse lungo tutta la penisola, è concentrata nel settore della ricerca e sviluppo (45%), seguita dall’agrifood (25%).

Un’analisi più di dettaglio, sia attraverso l’osservazione di parole chiave che descrivono le attività delle start-up, sia tramite l’approfondimento di alcuni casi aziendali, evidenzia l’importanza dello sviluppo di nuovi materiali per la produzione di cosmetici, così come la ricerca di input produttivi diversi per la produzione di bioplastica. Anche nella filiera agroalimentare emerge l’attenzione all’utilizzo di fonti di materie prime alternative o all’introduzione di nuovi processi produttivi tecnologicamente avanzati, volti a migliorarne la sostenibilità ambientale.

Diverse anche le start-up attive nel sistema moda, dove operano produttori che utilizzano materiali di scarto provenienti da altre lavorazioni o industrie, o nella bioedilizia, dove cresce l’attenzione al miglioramento delle condizioni di salubrità e comfort nelle abitazioni attraverso l’utilizzo di materiali naturali e ambientalmente sostenibili. Si osservano anche alcuni casi di imprese attive nella gestione dei reflui di scarto civili ed industriali e nei processi di depurazione dell’acqua che confermano come l’attività innovativa riguardi tutto il ciclo di produzione.

La tecnologia rappresenta un fattore fondamentale nella filiera agro-alimentare che riveste un ruolo chiave nel complesso della Bioeconomia – pesando oltre il 76% in Spagna e Francia, il 63% circa in Italia ed il 61% in Germania – ed è sempre più protagonista del percorso di transizione verso una maggiore sostenibilità dei processi.

Le imprese italiane dell’alimentare, nettamente più piccole rispetto ai concorrenti europei, spiccano per la quota elevata di innovazioni di prodotto (20% contro una media UE27 del 12%) e di processo, dove l’Italia (36%) stacca i principali competitors di oltre 15 punti percentuali.

L’attenzione ai processi produttivi emerge anche dall’analisi dell’attività brevettuale dedicata alla filiera agro-alimentare, dove l’Italia figura come settimo brevettatore a livello mondiale, con una quota e un grado di specializzazione in netto rafforzamento negli ultimi anni. L’analisi di dettaglio del portafoglio brevetti nelle tecnologie dedicate alla filiera alimentare evidenzia, oltre alle imprese attive nell’agro-alimentare, un ruolo determinante delle imprese della meccanica, che rappresentano la principale origine delle domande di brevetto afferenti al tema alimentare (45% delle domande di brevetto e 32% degli assegnatari).

L’Italia è il terzo esportatore al mondo nel complesso delle tecnologie per l’agrifood e ristorazione con una quota del 12% e primati assoluti in numerosi prodotti, come i primi esportatori al mondo di distributori automatici con oltre il 30% dell’export mondiale, così come di macchine per la lavorazione della frutta (23%) e macchine per la pasta e prodotti da forno (20%). L’Italia è seconda nelle macchine per gli imballaggi (con una quota del 23%), nelle macchine per l’industria alimentare (16%) e per l’industria dolciaria (12%).

L’attività brevettuale delle imprese dell’alimentare e bevande, un campione di 386 soggetti che hanno presentato domande di brevetto all’EPO, illustra l’ampiezza delle tematiche e la varietà dei percorsi innovativi in atto nel settore.

Si conferma l’importanza dei processi, spesso a supporto dell’introduzione di nuovi prodotti, o addirittura dell’entrata in nuovi business, come quello delle macchine espresso per le imprese della filiera del caffè. Elevato è anche l’interesse per l’area di confine tra l’alimentazione e la salute. La farmaceutica è al secondo posto tra i settori/aree tecnologiche in cui risultano brevettare le imprese italiane dell’agroalimentare, subito dopo il settore alimentare vero e proprio. Le imprese appaiono, inoltre, particolarmente attente al tema del confezionamento, per garantire una migliore conservabilità, trasportabilità e sostenibilità.

Le imprese italiane dell’alimentare spiccano anche, nel confronto con le imprese tedesche, francesi e spagnole, per l’attenzione rivolta alle innovazioni per la sostenibilità: riduzione dei consumi di materiali e idrici (20% delle rispondenti), recupero di scarti e di acqua (circa il 21%), sostituzione di materiali inquinanti o pericolosi (25%) e riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo o acustico (20,8%).

La filiera agro-alimentarefortemente esposta al cambiamento climatico e allo stress idrico. In Italia, a differenza di altri paesi europei, il settore agricolo è un grande utilizzatore di acqua (assorbe il 60% dei consumi di acqua complessivi) e registra un’elevata propensione all’irrigazione: il 20,2% della superficie agricola utile (SAU) risulta irrigata e circa il 64% delle 484.000 le aziende agricole con superficie irrigabile ha effettivamente irrigato i campi nel 2020. Il comparto è, quindi, uno dei primi settori a essere colpiti dalla carenza d’acqua.

L’efficientamento dei consumi ed il riutilizzo di risorsa sono centrali per la sostenibilità. L’adozione di tecnologie innovative potrà giocare un ruolo fondamentale: in alcune realtà territoriali e in alcune aziende progressi verso l’efficientamento idrico sono stati fatti; si tratta ora di garantire la progressiva conversione dei sistemi di irrigazione verso metodi a minor consumo idrico e a maggiore efficienza su ampia scala.

Nell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco si concentra il 10% dei consumi idrici del settore manifatturiero e sono necessari 3,3 litri di acqua per euro di produzione; l’acqua viene utilizzata sia come fattore primario nel processo produttivo, sia per il raffreddamento dei macchinari o il lavaggio di elementi produttivi e di impianti. Il 43% delle imprese alimentari ha adottato azioni volte a contenere i prelievi e i consumi di acqua; all’interno dei distretti agroalimentari risulta esserci maggior sensibilità verso il riciclo e riutilizzo dell’acqua rispetto alle aree non distrettuali.

Tra i settori della Bioeconomia più dinamici negli ultimi anni spicca la cosmetica in cui l’Italia ha acquisito una crescente specializzazione, affermandosi come terzo esportatore europeo dopo Francia e Germania. In ambito italiano rivestono un peso sempre più rilevante i cosmetici a connotazione naturale/biologica: a fine 2023 questi prodotti in Italia rappresentano il 10,4% del mercato cosmetico, pari a oltre 1,3 miliardi di euro con una crescita del 7,1% rispetto all’anno precedente.

Questi progressi sono stati possibili grazie anche alla struttura del settore che può contare su relazioni di filiera strategiche di prossimità, sia per gli input produttivi (soprattutto chimica, agro-alimentare), sia per gli imballaggi (in primis carta, plastica, vetro, ceramica). Anche in prospettiva la presenza di filiere locali e stabili potrà rappresentare un vantaggio per le imprese del settore che vorranno proseguire con decisione il loro percorso verso una produzione più “bio-based” e processi produttivi più sostenibili. Pertanto, il futuro “bio-based” del settore dipende fortemente dalla capacità di coinvolgere virtuosamente le imprese a monte della filiera nella transizione green in corso.

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