Giovani industriali: «la politica è vuota e dà risposte deludenti»

Dall’assemblea di Rapallo i Giovani di Confindustria richiamano la politica alla responsabilità e alla seria programmazione della cosa pubblica.

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Giovani industriali
Il presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, Riccardo Di Stefano.

I giovani industriali rilanciano il confronto con la politica ad una settimana dal voto per le elezioni europee e la relazione del presidente dei Giovani di Confindustria, Riccardo Di Stefano, al tradizionale appuntamento con il convegno di fine primavera, infligge una netta bacchettata alla politica italiana richiamandola ai suoi doveri e alle sue responsabilità nei confronti del Paese e dell’economia nazionale.

«La campagna elettorale è stata fin qui deludente e vuota. Priva di contenuti, di una visione chiara sull’oggi e sul domani. Liste, capi-liste, campi larghi e campi stretti, equilibri di governo: questo è tutto ciò che ci hanno detto. Basta alibi – sottolinea Di Stefano -: che fiducia possiamo avere, poi, nelle istituzioni davanti a scene da saloon come quella in Parlamento durante la discussione sul premierato? Non c’è niente di più serio delle regole che hanno impatto sul funzionamento dello Stato. Un dibattito civile e costruttivo sarebbe il minimo».

Di Stefano fa un confronto tra i comportamenti dei vari settori produttivi europei e italiani: «imprenditori industriali e lavoratori penalizzati dal “Green Dealnon hanno messo a ferro e fuoco le città. Eppure il “movimento dei trattori”, in un paio di mesi, ha ottenuto agevolazioni ed esenzioni. E l’industria e i lavoratori cosa hanno ottenuto? Solo aggiustamenti, dopo battaglie durate anni e, guarda caso, a ridosso della campagna elettorale europea».

Il filo del discorso è di più ampio respiro, è una analisi delle prospettive e dei possibili correttivi, per l’Europa in sé, e per una svolta nella politica industriale europea, perché «se resta immobile, se non cambia, il crocevia fra allargamento e integrazione porterà conseguenze davvero difficili da gestire».

Ci sono riforme incisive che possono essere attuate anche senza modifiche ai trattati, «passare a un voto a maggioranza qualificata e ripensare il sistema di rotazione del Consiglio, dare maggiori poteri al Parlamento, stabilire un limite massimo al numero dei membri e rivedere la ripartizione dei seggi, ridurre il numero dei commissari mantenendo, saldo il principio di rappresentanza democratica»; e puntare, cosa indispensabile per sconfiggere i fenomeni di concorrenza fiscale sleale tra i paesi membri dell’Unione, ad «un sistema fiscale comune, con politiche sociali ed educative comuni, una politica di difesa comune. C’è chi la chiama Europa a due velocità, chi Europa a più velocità. Noi la chiamiamo “Europa della responsabilità”. È inaccettabile che una Unione di 27 Paesi, 500 milioni di persone e un Pil di 14.500 miliardi sia debole». E di fatto in balia delle volontà altrui, Cina, Usa, Russia e pure l’India.

C’è poi la sfida delle risorse per finanziare gli investimenti necessari per le transizioni: per Di Stefano «è cruciale che il bilancio europeo cresca. Una partita di giro di risorse già disponibili, per quanto necessaria, non è sufficiente. Occorrono risorse nuove su base stabile».

Per l’indipendenza tecnologica e per nuove sfide come quella dell’intelligenza artificiale «investiamo poco», serve «un fondo europeo per raccogliere investimenti pubblici e privati». «A giorni si vota e noi vogliamo risposte. Vogliamo un’idea chiara sul futuro dell’Europa», dicono i Giovani industriali di Confindustria.

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