I commercialisti veronesi dicono no all’obbligo di Pos

0
482
Alberto Mion presidente ordine commercialisti verona 1
Alberto Mion presidente ordine commercialisti verona 1Cresce il malcontento verso l’installazione obbligatoria dei lettori di moneta elettronica in realtà che hanno sempre utilizzato strumenti tracciabili come la fatturazione e pagamenti con bonifici bancari o assegni

Cresce nel mondo dell’economia il malcontento verso l’entrata in vigore, a partire dal prossimo 30 giugno, di installare presso ogni azienda studio professionale il lettore di carte di credito o di bancomat, il Pos (Point of sale), per via dei costi connessi con l’utilizzo del dispositivo che, secondo uno studio della Cgia di Mestre, comporta costi medi annui aggiuntivi per circa 1.200 euro all’anno in canoni di gestione e commissioni d’uso.

Anche i commercialisti veronesi si uniscono al coro di no al Pos, il dispositivo elettronico che consente ai clienti che non possiedono partita iva, di effettuare i pagamenti delle prestazioni professionali tramite bancomat e carte di credito. Difficile digerire la novità per gli studi professionali veronesi: «dall’inizio dell’anno è entrata in vigore la norma – osserva Alberto Mion, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Verona – che riteniamo inidonea allo scopo per cui è stata introdotta che è quello di combattere l’evasione, dato che esiste già il limite di mille euro sull’importo pagabile in contanti, eventualmente sarebbe stato più utile abbassare ulteriormente la soglia di utilizzo del denaro contante». Inoltre, secondo Mion «è appurato che la parte più consistente del fenomeno dell’evasione si annida nelle grosse operazioni anche internazionali e nel fenomeno delle fatture false. Su questo dovrebbero focalizzarsi il controlli degli organi preposti».

Sul fronte dei costi, si stima un importo di attivazione del servizio di circa cento euro a cui si aggiungono i costi di gestione mensili, oltre ad una commissione per ogni transizione che varia tra l’1% e il 3% a seconda del circuito bancario, costi sicuramente soggetti a variazione in senso migliorativo o peggiorativo secondo gli accordi con il proprio istituto di credito di riferimento.

«In questo momento i professionisti e tutti gli operatori economici – continua Mion – necessitano di interventi di semplificazione e chiarezza normativa, finalizzati al rilancio dell’economia, invece siamo sommersi da adempimenti onerosi, inutili, e che non rispondono alle finalità per cui sono stati previsti, come in questo caso, la lotta all’evasione».

L’obbligo vale per le prestazioni rese esclusivamente a persone fisiche che agiscono per scopi privati, quindi i consumatori, e non riguarderebbe le prestazioni rese ad imprese e a professionisti. «L’introduzione del Pos negli studi – conclude Mion – più che un reale beneficio ai clienti degli studi professionali, rappresenta un favore agli erogatori del servizio, che saranno gli unici a beneficiarne, considerati i costi fissi di installazione e di gestione dello strumento e quelli proporzionali al volume degli incassi tramite lo strumento». Insomma, l’ennesimo favore al sistema bancario da parte del governo.

La norma che prevede l’introduzione dell’obbligo del Pos negli studi, è contenuta nel “Decreto Crescita 2.0” del 2012 (art.15 del D.L. 179/2012) e non è mai stata applicata alla scadenza prevista per il 1 gennaio 2014, a causa della mancanza dei decreti attuativi. Inoltre, in una fase iniziale, era stato previsto un periodo transitorio per cui l’obbligatorietà sarebbe stata limitata agli Studi con un fatturato superiore a 200.000 euro. Successivamente questo limite è stato superato, perché rendeva impossibile al consumatore conoscere se si stava rivolgendo ad uno studio obbligato o meno all’accettazione del pagamento tramite Pos e il “Decreto Milleproroghe” ha fatto slittare l’obbligo al 30 giugno 2014, senza eccezioni per soglie di fatturato, mantenendo solamente l’esclusione per gli importi inferiori ai 30 euro.