Classe media: metà degli appartenenti avverte il declassamento sociale

Indagine Censis-Cida sull’arretramento della promozione sociale in atto in Italia. Cuzzilla: «il problema è trasversale tra tutti i ceti, ma particolarmente forte quelli con redditi più alti».

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Classe media incentivi all'economia adepp mondo delle professioni partite iva Lavoratori autonomi Professionisti

Il 54,2% degli italiani prova un senso di declassamento, la sensazione netta di andare indietro nella scala sociale e questo è sentito trasversalmente tra coloro che si sentonoclasse media”, ben il 48,4% del totale, il 66,7% dei ceti popolari e, addirittura, anche il 42,2% degli abbienti. E poi il 45,7% dei dirigenti, il 54,5% degli imprenditori e commercianti, il 50% di impiegati, insegnanti, professioni intermedie, il 59,1% degli operai.

Inoltre, il 59,7% degli italiani sente che il suo tenore di vita sta calando, così come in particolare il 53,4% nella classe media, il 74,4% nel ceto popolare e il 40% tra i benestanti. E ancora: un tenore di vita in calo è percepito dal 74,4% dei redditi fino a 15.000 euro, dal 63,6% tra 15.000 e 35.000 euro, dal 52,1% tra 35.000 e 50.000 e dal 40,3% dei redditi pari a 50.000 euro e più, quest’ultime due categorie particolarmente penalizzate dalle due ultime manovre finanziarie, oltre che da quelle dei governi precedenti.

Lo spaccato di un’Italia socialmente ed economicamente in retromarcia emerge dall’indagine CensisCida “Il valore del ceto medio per l’economia e la società“, presentato alla Camera.

Il 76% degli italiani pensa che è sempre più difficile salire nella scala sociale: condivide tale idea il 74,7% delle persone che si sentono di classe media, il 79,5% di ceto popolare e il 68,3% di ceto abbiente. La percezione del blocco della mobilità sociale è condivisa dal 78,5% dei redditi fino a 15.000 euro, dal 78,9% tra 15.000 e 35.000 euro, dal 77% tra 35.000 e 50.000 euro e dal 64,2% con 50.000 euro e oltre. Inoltre c’è la diffusa certezza che l’andamento del benessere nel tempo sia decrescente.

Ritengono che le generazioni passate vivessero meglio il 66,6% degli italiani e, in particolare, il 65,7% del ceto medio, il 70,1% dei ceti popolari e il 56,7% dei benestanti. Al contempo pensano che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali il 76,1% dei cittadini: il 75,1% del ceto medio, il 77,1% dei ceti popolari e il 78 % degli abbienti.

Il 57,9% degli italiani ritiene che in Italia impegno nel lavoro e talento alla fin fine non sono premiati come dovrebbero. Convinzione condivisa dal 54,9% degli appartenenti al ceto medio, dal 65,7% del ceto popolare e dal 42,5% dei benestanti. Lo pensano anche il 61,8% dei giovani, il 58,1% degli adulti e il 54,7% degli anziani.

Per l’80,6% degli italiani la fiscalità dovrebbe premiare di più e meglio chi crea impresa, lavoro, opportunità: lo pensa anche l’82% delle persone che si sentono di ceto medio, il 77,3% dei ceti popolari e l’84,8% dei benestanti.

Quanto alle differenti categorie professionali, il 52,7% degli italiani in famiglie con figli ha un giudizio positivo sui dirigenti scolastici, il 26,6% negativo e il 20,7% non ha un’opinione precisa nel merito.

I medici del Servizio sanitario, anche in questa fase così difficile per l’accesso alle prestazioni, beneficiano di una elevatissima reputazione sociale. Il 65,6% degli italiani è convinto che, se la sanità ha tenuto nel tempo, nell’emergenza e nell’ordinarietà, lo si deve all’abnegazione dei medici. Il 74,5% degli italiani ha fiducia nei medici ospedalieri e il 71,6% nei medici di medicina generale.

È fondamentale, infine, per gli italiani consentire sempre più alle persone in età longeva di gestire in autonomia le scelte di vita. Infatti, il 59,6% degli italiani è convinto che occorra consentire ai pensionati che lo vogliono di lavorare. Idea condivisa dal 61,4% del ceto medio, dal 54,8% dei ceti popolari e il 68,7% di quelli benestanti. Inoltre, per il 55,3% degli italiani occorre lasciare a ciascun individuo la libertà di andare in pensione all’età che preferisce, senza penalità o premi per farlo a restare al lavoro.

«Come governo e come forze politiche – afferma il vicepremier del governo Meloni, il forzista Antonio Tajani, intervenuto alla presentazione – dobbiamo dare una risposta alla classe media, che non può diventare il ceto che viene spinto verso il basso e che deve invece essere spinto verso l’alto. In Italia fortunatamente cresce l’occupazione, ma ci sono molti occupati che hanno stipendi vicini alla soglia della povertà: dobbiamo portare avanti una politica economica che sostenendo il ceto medio faccia crescere l’economia del nostro Paese».

«Con la riduzione del fardello burocratico e della pressione fiscale – aggiunge Tajani – con la riforma della giustizia, ricordiamo che la lentezza di quella civile ci costa quasi 2% di Pil, con il risanamento dei conti pubblici possiamo incoraggiare gli investimenti che garantiscano la crescita».

«A me preoccupa soprattutto questa assenza di speranza nel futuro – ha sottolineato il presidente Cida – Confederazione italiana dirigenti d’azienda -, Stefano Cuzzilla -: se le aspettative calano, se non si crede più di poter migliorare la propria condizione, se si ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali, sarà il Paese intero a pagare un prezzo altissimo. È nostra responsabilità, come manager e come società civile, rispondere a questo cambiamento e intercettarne i bisogni prima che sia troppo tardi. Significa investire per avere un sistema costruito sulla triade più alto benessere economico – più alti consumi – aspettative crescenti. Mentre oggi siamo in questa situazione: meno benessere economico – consumi ridotti – aspettative pessimistiche. Solo valorizzando l’impegno nel lavoro, il talento, le conoscenze e le competenze, è possibile riattivare i meccanismi di crescita».

Per Cuzzilla «la paura palpabile del blocco della mobilità sociale è presente non solo per i redditi più bassi, ma anche per le fasce di reddito fino a 50.000 euro e oltre, che sono quelle che trascinano consumi e investimenti».

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