Equo compenso, un anno di tregenda per i professionisti

Dall’abolizione delle tariffe con le “lenzuolate” di Bersani del 2006, la redditività del lavoro autonomo è andata crollando e tanti ormai fuggono dalle professioni.

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Equo compenso

Per i milioni di lavoratori autonomi e liberi professionisti l’equo compenso approvato un anno fa non ha portato alcun tangibile miglioramento della propria capacità reddituale dopo gli effetti nefasti causati dalle “lenzuolateliberalizzatrici imposte dal governo a guida Pd ed in particolare dall’indimenticato duo ministeriale Visco-Bersani.

Di fatto, dopo un anno dall’approvazione della legge frutto dell’unificazione di ben 4 diverse proposte di legge, di cui una a firma dello stesso premier Giorgia Meloni, il settore delle libere professioni va di male in peggio, con redditi in calo, difficoltà a farsi pagare e costi operativi esplosi a fronte di fatturati in calo. Con il risultato che tanti giovani professionisti freschi di laurea a praticare la libera professione non ci pensano proprio o, dopo averla assaggiata, rifuggono sconcertati nelle fila dei lavoratori dipendenti, privati o pubblici.

Il mondo delle professioni e l’equo compenso paga lo scotto del filibustering attuato dalle grandi lobby economiche, impersonate da quasi tutte le categorie di rappresentanza, che paventano dall’applicazione dell’equo compenso l’esplosione dei loro costi. Le compagnie di assicurazione o le banche non gradiscono vedere limati i loro grassissimi utili pagando un po’ meglio stuoli di avvocati assoldati per fare precetti ed ingiunzioni. Lo stesso vale per le categorie produttive che vedono di cattivo occhio la crescita delle parcelle dei professionisti tecnici e giuridici, così come le categorie delle società quotate e non che paventano il rischio di pagare parcelle decuplicate per i componenti dei collegi sindacali.

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Di fatto, aziende e categorie economiche sono state viziate da una stagione di prestazioni rese al ribasso, spesso a livelli non solo ben sotto un livello degno di remunerazione oraria per l’impegno prestato e per anni di studio e aggiornamento professionale, ma anche sotto anche i costi di funzionamento e di gestione degli studi, che devono sopportare l’esplosione dei costi operativi.

Se dal lato della committenza privata potrebbe anche essere comprensibile la corsa al ribasso, viceversa non è tollerabile che la corsa alla compressione ai ricavi dei professionisti sia attuata anche dal fronte pubblico, pure da parte delle branche afferenti direttamente al governo che, oltre ad incappare in vergognosi ed intollerabili bandi con la richiesta di prestazioni gratuite, non applica minimamente il criterio dell’equo compenso. E sì che proprio al timone del governo italiano c’è quella Giorgia Meloni che è stata una delle fautrici della legge sull’equo compenso.

L’attesa revisione dei parametri che dovrebbe definire una forchetta di riferimento economico per calcolare l’equità del compenso ai professionisti è ancora in alto mare, anche perché l’Osservatorio sulle professioni incardinato presso il ministero della Giustizia è appena decollato con comodo. Bisognerà vedere se sarà in grado di operare indipendentemente o se rimarrà vittima delle pressioni dei soliti noti che hanno l’interesse a mantenere lo status quo.

Ma l’equo compenso va a braccetto con la sicurezza degli incassi: spesso ai professionisti la speranza di incassare in tempi certi – dovrebbero essere per legge 30 giorni – rimane solo tale e con il blocco del Superbonus causa stra-buco nei conti pubblici rischia di mandare all’aria un professionista su tre che vedrà evaporare le proprie parcelle per la progettazione, le spese tecniche e d’istruttoria spesso anticipate per conto dei committenti. Di fatto, ci si prepara ad una strage economica tra gli studi professionali.

Anche in questo contesto, toccherebbe al ministro della Giustizia assicurare ai professionisti strumenti utili per garantire la sicurezza e celerità degli incassi a costo zero, ma si tratta di un’aspirazione destinata anch’essa a rimanere tale.

Non ci si stupisca se la società italiana perderà competenze e specializzazioni e se quando serviranno tecnici e professionisti qualificati privati e pubblici committenti non ne troveranno a sufficienza, così come sta già accadendo nel comparto sanitario. E molto probabilmente tutti questi problemi sono una delle cause della disaffezione delle giovani generazioni nei confronti dell’attività professionale, che sta assottigliando in molte categorie il numero dei nuovi ingressi. Prosciugando così le competenze e la dinamicità del sistema paese. Con buona pace della difesa di quella fu classe media che dovrebbe essere una delle stelle polari della maggioranza di centro destra del governo Meloni.

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