Manovra di bilancio 2025 alla cerca di almeno 20 miliardi

Secondo Unimpresa è necessario trovare fondi freschi per confermare le misure delle precedenti finanziarie e per frenare la corsa del debito pubblico a quota 2.895 miliardi.

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Secondo le previsioni sulla finanza pubblica per il 2025 di Unimpresa, queste differiscono da quelle del governo perché includono il rinnovo delle misure finanziate solo fino alla fine del 2024 come deficit aggiuntivo di 20 miliardi di euro. La sfida principale per la politica economica nella preparazione della manovra di bilancio per il prossimo anno sarà trovare una copertura per queste spese, possibilmente strutturale.

Tutto questo mentre il debito pubblico nazionale continua a crescere: nell’ultimo anno il buco nei conti dello Stato è cresciuto di 103 miliardi arrivando al record di 2.895 miliardi e l’aumento del rapporto tra debito e Pil è più marcato rispetto alle stime del governo italiano, a causa di una crescita inferiore del Pil nominale (Pil reale: 0,9% contro 1% del governo nel 2024, 1,1% contro 1,2% nel 2025; deflatore del Pil: 2,2% contro 2,6% del governo quest’anno, 1,8% contro 2,3% l’anno prossimo). Infine, le stime della Commissione europea non tengono conto del piano di privatizzazioni annunciato dal Governo, poiché mancano dettagli specifici.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’elemento di maggior criticità per il governo Meloni e per la manovra di bilancio è rappresentato ancora una volta dal debito pubblico, il cui ammontare tende a crescere progressivamente. Lo scorso marzo, il debito delle amministrazioni pubbliche è cresciuto di 23 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo i 2.894,7 miliardi. Il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, pari a 27,7 miliardi, ha superato la riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro, che sono diminuite di 4,2 miliardi, portandosi a 38,6 miliardi. L’effetto degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e la variazione dei tassi di cambio hanno ridotto il debito di 600 milioni.

Per quanto riguarda la suddivisione per sottosettori, il debito dello Stato è aumentato di 22,8 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali è cresciuto di circa 100 milioni. Il debito degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente stabile. La vita media residua del debito è rimasta invariata a 7,8 anni.

La quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia è scesa al 23,7% a marzo (dal 24%del mese precedente), mentre a febbraio (ultimo mese per cui questo dato è disponibile), le quote detenute dai non residenti e dagli altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) si sono attestate rispettivamente al 28,3% e al 13,6% (dal 27,9% e dal 13,5% del mese precedente).

«Il quadro di finanza pubblica italiana è preoccupante e richiede un intervento deciso da parte del governo per evitare un aumento del “buco” nei conti ancora più ampio. Il rapporto tra debito e pil continua a crescere in maniera allarmante e, se non si adottano misure correttive, rischiamo di compromettere la stabilità finanziaria del nostro Paese, con consequenziali procedure d’infrazione da parte dell’Unione europea – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. Gli investitori internazionali potrebbero prima o poi far sentire il loro disagio. È essenziale, perciò, che il governo intraprenda una seria revisione della spesa, concentrandosi in particolare sulla riduzione degli sprechi nella spesa pubblica».

Secondo Unimpresa, ogni anno, miliardi di euro vengono buttati in inefficienze burocratiche, progetti inutili e cattiva gestione delle risorse. Un esempio emblematico è quello delle opere pubbliche incompiute, che secondo il ministero delle Infrastrutture ammontano a più di 600, con costi che si aggirano intorno ai 40 miliardi. Questi fondi potrebbero essere destinati a settori strategici come l’istruzione, la sanità e l’innovazione tecnologica, contribuendo a stimolare la crescita economica e a migliorare la qualità della vita dei cittadini.

Ma molto si può fare anche potenziando i centri di spesa, così come ha dimostrato l’esperienza della regione Emilia Romagna la cui agenzia di spesa centralizzata ha fatto risparmiare nel solo 2023 ben 250 milioni e oltre 1,5 miliardi in cinque anni.

A Giorgia Meloni il compito, sicuramente indigesto complice le continue tornate elettorali, di intervenire con mano ferma e pesante già nel prossimo assestamento di bilancio e nella manovra di bilancio nel tagliare gli sprechi, similmente a quanto hanno già fatto imprese e famiglie. E la famiglia Italia con Meloni deve fare altrettanto e subito.

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