Ancora un dato negativo per la produzione industriale a marzo, che chiude anche il primo trimestre con il segno negativo: scende rispetto al mese precedente e continua ad essere negativa nel confronto annuo, con una fase di flessione che si protrae da 14 mesi consecutivi, ovvero da febbraio 2023.
I dati dell’Istat ritraggono un andamento in calo per tutti i comparti principali. L’unico che fa registrare una crescita mensile è l’energia. In particolare, a marzo la produzione industriale diminuisce dello 0,5% rispetto a febbraio. Una flessione che si estende anche al primo trimestre di quest’anno, che registra un calo dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti. Su base annua, invece, l’attività dell’industria segna un -3,5%.
Tra i settori, le flessioni annue più ampie riguardano le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-9,3%), la fabbricazione di mezzi di trasporto (-8,8%) e la fabbricazione di macchinari (-5,9%). La produzione domestica delle sole autovetture a marzo 2024 è in calo del 31,3% rispetto a marzo del 2023. Nel cumulato trimestrale, il calo è del 21,1% su gennaio-marzo 2023. Il totale degli autoveicoli prodotti nel trimestre, invece registra una flessione del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2023, grazie all’andamento positivo dei veicoli commerciali leggeri.
Per i consumatori si tratta di dati preoccupanti, con un allarme soprattutto per il crollo dei beni di consumo. Sull’industria «si fa ancora sentire l’onda lunga del caro-prezzi, con i suoi effetti negativi sulla spesa», sostiene il Codacons. «Se non si rilanciano i consumi delle famiglie, la produzione industriale non può che andare male», sottolinea l’Unione nazionale dei consumatori.
La situazione preoccupa soprattutto le piccole e medie imprese che sono l’asse portante dell’economia nazionale. «Alcuni provvedimenti assunti a livello europeo rischiano addirittura di spingere fuori dal mercato, ex lege, interi pezzi di filiera con punte di assoluta eccellenza»”, avverte la Piccola Industria di Confindustria dal suo forum annuale.
Il presidente dei “Piccoli”, Giovanni Baroni, accende così l’attenzione sui rischi dell’impatto di direttive europee su filiere, per l’Italia, come «nella componentistica per il settore automotive, nel riciclo dei materiali e nell’attuazione dell’economia circolare, nell’industria delle materie prime seconde. Per esempio, la direttiva sul reporting di sostenibilità è la cartina di tornasole di come un giusto obiettivo – quello di migliorare la comunicazione e la trasparenza rispetto all’adozione di politiche in ambito Esg da parte delle imprese – possa tradursi in un vero e proprio incubo per le Pmi, soffocandone il potenziale di crescita sostenibile».
Ai criteri Esg si aggiunge «il piano europeo “Fit-for-55”, che presenta costi stimati per 4.500 miliardi al 2030 in Europa di cui circa 1.100 mld in Italia. Le voci del Pnrr dedicate ne coprono il 4,7%. È evidente che su questo fronte abbiamo un problema tra ambizioni e strumenti concretamente disponibili. Come imprenditori siamo ben consapevoli della gravità del cambiamento climatico e dei suoi effetti e siamo altrettanto decisi nel perseguire obiettivi di riduzione degli impatti e delle emissioni. Ma – avverte Baroni – non dobbiamo dimenticare che gli obiettivi non devono pregiudicare la competitività delle imprese. Questo auspichiamo che sia molto più chiaro al prossimo Parlamento europeo, rispetto a quello uscente. Anche perché siamo di fronte a grandi asimmetrie, non tanto tra i Paesi europei, ma tra Ue e le grandi aree geografiche, come gli Stati Uniti o la Cina o l’India». Dove le regole tutte non sono così cervellotiche e autodafé come in quell’Europa che sta lasciando Ursula von der Leyen.
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