Libertà di stampa, l’Italia perde 5 posti nella classifica internazionale

Il Belpaese si piazza al 46° posto, complice anche la sempre più marcata rarità di editori puri a favore di giornali espressione di qualche potentato politico o economico.

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Libertà di stampa Qualità dell’informazione crisi dell'editoria monopilio

Norvegia, Danimarca e Svezia sul podio del World Press Freedom Index 2024, la classifica della libertà di stampa stilata da Rsf, con l’Italia che scende fino al 46° posto, in calo di cinque posti rispetto all’edizione precedente. Meglio fanno Tonga, Fiji, Slovenia. A chiudere la classifica, Afghanistan, Siria ed Eritrea, fanalini di coda rispettivamente ai posti numero 178, 179 e 180.

«Alcuni gruppi politici alimentano l’odio e la sfiducia nei confronti dei giornalisti insultandoli, screditandoli e minacciandoli – si legge nel World Press Freedom Index 2024 – Altri stanno orchestrando un’acquisizione dell’ecosistema mediatico, sia attraverso media di proprietà statale sotto il loro controllo, sia attraverso media di proprietà privata attraverso acquisizioni da parte di uomini d’affari alleati. L’Italia di Giorgia Meloni (46esima) – dove un membro della coalizione parlamentare al potere sta cercando di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa (Agi) – è scesa di cinque posizioni quest’anno», sorvolando che il ras della sanità privata Angelucci, oltre che deputato assenteista eletto tra le fila della Lega Salvini è anche editore di tre quotidiani di area centro destra con “il Tempo”, “il Giornale” e “Libero”.

In generale, però, Italia a parte, la situazione internazionale desta qualche preoccupazione perché «un numero crescente di governi e autorità politiche non stanno assolvendo al proprio ruolo di garanti del miglior ambiente possibile per il giornalismo e del diritto del pubblico ad avere notizie e informazioni affidabili, indipendenti e diversificate. RSF – si legge ancora nello studio – vede un preoccupante calo del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione da parte dello Stato o di altri attori politici».

Il rapporto 2024 sulla libertà di stampa fa sprizzare lacrime da coccodrillo alla politica. Per il sottosegretario all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini (Forza Italia), «oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa, una giornata che è stata istituita tanti anni fa anche per tutelare la libertà di stampa in Paesi, come quelli africani, dove non esisteva. Oggi lavorare per la libertà di stampa è un compito sempre arduo e difficile perché siamo soggetti anche a pressioni internazionali, di disinformazione, “fake news”, “deepfake”, ad esempio quelle che oggi provengono da Paesi in conflitto come la Russia. L’informazione è un bene fragile, da tutelare e lo dobbiamo fare giorno per giorno».

Lacrime calde anche da parte del presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga: «oggi ricorre la Giornata mondiale per la libertà di stampa. Un momento per rendere omaggio ai giornalisti di tutto mondo che, con coraggio e dedizione, difendono la libertà di espressione e la libera informazione, diritti fondamentali di ogni cittadino». Salvo sorvolare sul fatto che le regioni coordinate da Fedriga sempre più spesso applicano il braccino corto nei confronti dell’informazione, con tante realtà locali dove il pluralismo dell’informazione si concentra sempre di più in poche mani che controllano anche la pubblicità – come accade in Trentino Alto Adige -, togliendo ossigeno all’editoria indipendente che andrebbe sostenuta proprio da un maggiore impegno economico da parte delle regioni.

La politica nazionale e locale dovrebbe fare di più per sostenere meglio di oggi la libertà di stampa e il diritto costituzionale all’informazione dei cittadini, assicurando adeguati sostegni economici ad un settore in profonda trasformazione e in crisi strutturale, prendendo atto che oggi la reale libertà di stampa e il diritto all’informazione passa attraverso i nuovi media digitali, probabilmente oggi la migliore espressione di reale indipendenza e trasparenza dell’informazione rispetto ai potentati economici e politici, come oggi accade con quotidiani, televisioni e radio.

Anche qui, Barachini dovrebbe prevedere l’estensione del fondo nazionale per l’editoria anche a tutti quei piccoli editori indipendenti che oggi sono tagliati fuori, prevedendo per loro una riserva di almeno del 10% dei fondi e degli investimenti in comunicazione da parte dello Stato e dei suoi bracci operativi, società a partecipazione pubblica comprese, oltre a prevedere un obbligo, sempre del 10% del budget dei piani di comunicazione delle campagne nazionali e locali gestiti dai centri media a favore della piccola editoria indipendente, da individuarsi mediante l’iscrizione volontaria in un apposito registro gestito dal Dipartimento per l’editoria.

Il settore dell’informazione italiano registra numeri in continuo calo. Sono 67.000 gli autori, giornalisti o linguisti che hanno lavorato in Italia nel 2022, su un totale di 891.600 nei Paesi dell’Ue. Il dato italiano è in calo rispetto ai 73.500 lavoratori del 2017, in controtendenza con il dato Ue, cresciuto del 9,1%. Aumenta invece il numero di imprese editoriali tra 2021 e 2022, che in Italia passano da 4.428 a 4.633.

I due Paesi che hanno registrato il maggiore aumento di lavoratori nel settore dell’informazione sono Germania (da 205.400 a 228.100) e Francia (da 94.200 a 107.200), in diminuzione Danimarca (da 23.100 a 19.500) e in misura minore Estonia, Grecia, Croazia, Cipro, Lettonia, Malta, Romania. Tra i Paesi extra-Ue, l’unico in Europa a registrare una diminuzione simile a quella dell’Italia è la Svizzera, che passa da 29.000 a 22.700. Cresce il numero di imprese editoriali tra 2021 e 2022, nei Paesi Ue da 70.000 a 80.000. L’Italia è il quinto Paese per numero di imprese: prima la Francia con 23.469: quasi dieci volte tanto quelle italiane.

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