Ocse, Pil Italia 2024 a +0,7% e debito verso il 140%

Richiamo a maggiore serietà nelle politiche di bilancio e ad avviare le riforme, dalla concorrenza alla riqualificazione della spesa per tagliare gli sprechi. Preoccupa il calo del Pmi manufatturiero ad aprile in Italia e in Germania.

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Tra le varie previsioni sull’andamento dell’economia italiana, europea e mondiale arriva il rapporto dell’Ocse sulle previsioni di primavera che stima una crescita dell’economia italiana per il 2024 dello 0,7% quest’anno, inferiore all’1% previsto dal Governo nel Def, oltre ad un debito pubblico che risale al 140% già l’anno prossimo, rendendo necessario mettere il deficit «su una traiettoria più prudente».

L’Ocse raccomanda all’Italia di spingere sull’attuazione delle riforme, a partire dall’attivazione di una reale concorrenza, la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, oltre a correre sulla lotta all’evasione e alla revisione della spesa pubblica per combattere gli sprechi.

Il quadro rappresentato dall’Ocse nel suo “Economic Outlook” di primavera non si stacca troppo le stime del governo Meloni, ed è simile a quello del Fondo monetario internazionale. Ma lascia intravedere il poco spazio di manovra che, dopo il voto europeo, una volta chiarite le regole del nuovo Patto di stabilità, il governo Meloni si troverà di fronte nel negoziato con l’Ue per tracciare la traiettoria di rientro del debito inserendola nella parte programmatica del Def, omessa dalla pubblicazione del Documento in aprile.

Al di là dei margini che il governo Meloni punta a ottenere dalla nuova Commissione Ue che uscirà dalle elezioni, resta la realtà del debito italiano avviato alla crescita: per l’Ocse «sarà necessario un aggiustamento di bilancio ampio e duraturo su diversi anni per fronteggiare future tensioni sulla spesa, piazzando al tempo stesso il rapporto di indebitamento su una traiettoria più prudente».

Il quadro complessivo globale descritto dall’Ocse è in lieve miglioramento, +3,1% di crescita 2024 a livello mondiale, contro il 2,9% previsto a febbraio, e l’Italia allo 0,7% è in linea con la media dell’Eurozona, azzoppata dal +0,2% della Germania. L’economia mondiale sembra aver scongiurato il rischio di una stagflazione causata dallo shock energetico, grazie a una crescita che migliora gradualmente e a un’inflazione che scende più del previsto.

Dalle previsioni degli economisti parigini all’economia reale fotografata dall’indice Pmi (Purchasing managers’ index) del settore manifatturiero italiano, un indicatore composito a una cifra della prestazione del settore manifatturiero derivato da indicatori relativi a nuovi ordini, produzione, occupazione, tempi di consegna dei fornitori e scorte di acquisto, che ad aprile ha toccato 47,3, in calo da 50,4 di marzo. Dopo il breve periodo di leggera crescita, l’indice principale è ritornato a contrarsi. L’ inizio di ripresa fornito dai dati Pmi a marzo presso i produttori manifatturieri italiani, ad aprile non è riuscito a materializzarsi: sia i nuovi ordini che la produzione hanno segnalato nuove contrazioni.

Il dato negativo del Pmi fa il paio con il crollo dei prezzi dell’industria registrato dall’Istat del 9,6% in un anno e dello 0,2% su base mensile a marzo 2024. Sul mercato interno, i prezzi calano dello 0,4% rispetto a febbraio e del 12,7% su base annua (da -14,2% del mese precedente). Al netto del comparto energetico, i prezzi crescono in misura modesta (+0,1%) e registrano una flessione tendenziale stazionaria al -2,2%. Sul mercato estero i prezzi restano invariati su base mensile (+0,1% area euro, -0,2% area non euro) e flettono dell’1,2% su base annua (-2,0% area euro, -0,5% area non euro).

A non brillare è anche l’indice Pmi in Germania, con ad aprile al 42,5, in leggero aumento rispetto al 41,9 di marzo, ma è ancora al di sotto della media registrata (44) da quando, a metà del 2022, è iniziata l’attuale fase di recessione. Calo anche in Francia, dove l’indicesceso a 45,3 in aprile da 46,2 di marzo.

Ora tocca alla Banca centrale europea dare un chiaro segnale di inversione di tendenza, tagliando da subito di almeno mezzo punto – anche se sarebbe meglio un più deciso punto pieno, passando dal 4,5 al 3,5% – per rilanciare l’economia europea attraverso i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese.

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