Concessioni balneari: il Consiglio di Stato rilancia l’obbligo di gare entro il 2024

Ribadito lo stop alle deroghe volute dalla politica, smentita pure sull’abbondanza di spiagge propalata dal governo Meloni.

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concessioni balneari

Nuova puntata nell’ormai annosa questione sulla gestione delle concessioni balneari, dove la politica italiana degli ultimi vent’anni ha fatto spallucce, evitando di valorizzare adeguatamente un bene pubblico di rilevante importanza, finendolo quasi con il privatizzarlo in mano a pochi fortunati concessionari in cambio di una manciata di spiccioli rispetto al rilevante introito economico assicurato dalla sua gestione privata.

Il Consiglio di Stato è nuovamente intervenuto sulle concessioni balneari con una sentenza che conferma la scadenza delle concessioni demaniali per le spiagge al 31 dicembre 2023, obbligando così le amministrazioni a disapplicare eventuali deroghe, richiamandosi «ai principi della Corte di Giustizia Ue» per dare «immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale» e fruttuoso per le casse dello Stato ben più dei miseri 115 milioni incassati nel 2023.

Non solo: il Consiglio di Stato ha respinto la sceneggiata imbandita da buona parte della maggioranza del governo Meloni secondo cui la risorsa spiaggia in Italia non sarebbe affatto scarsa, potendo la Nazione contare su ben 11.000 chilometri di coste – quando stando alle carte geografiche quelle marine del Belpaese sarebbero poco più di 8.000 km – da sfruttare, sorvolando che una rilevantissima parte di queste sia di fatto allo stato inaccessibile, priva di strutture turistiche e spesso pure nemmeno balneabile per via dei numerosi scarichi fognari non depurati che ancora oggi scaricano a mare direttamente o via qualche torrentello.

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Secondo la suprema magistratura amministrativa, si sottolinea che la risorsa spiaggia «è scarsa», al contrario di quanto sostenuto dal governo nella mappatura inviata a Bruxelles e portata a motivo della mancata applicazione della Bolkenstein voluta da ampie fette di Lega, Forza Italia e anche Fratelli d’Italia.

Comunque la giri e rigiri, ancora una volta emerge la mala politica, quella che non ha saputo tutelare sufficientemente gli interessi nazionali, svenduti sull’altare di quelli privati, con soggetti concessionari che hanno potuto godere di un bene pubblico per decenni pagandolo quattro soldi. Con pesanti ricadute sulle entrate dello Stato, che per anni hanno reso spiccioli, solo recentemente cresciute a 115 milioni di euro a fronte di un fatturato del settore stimato attorno ai 30 miliardi.

Per pochi fortunati che hanno centrato l’assegnazione di una concessione, il suo sfruttamento si traduce in un forte guadagno, stimabile per un bagno strutturato sulla disponibilità di 100 lettini e 50 ombrelloni variabile tra i 45.000 euro mensili per una località non prestigiosa ad oltre 300.000 euro al mese per una struttura Vip in una località alla moda.

Agli operatori che paventano un bagno di sangue e di perdite di 300.000 posti di lavoro se gli attuali concessionari subentreranno altri operatori, si tratta di uno scenario infondato perché chiunque subentrerà nelle concessioni balneari pagandole adeguatamente avrà sempre e comunque bisogno di personale, forse anche più di quelli oggi in servizio, ed è difficile che questi possano provenire dall’estero come si paventa.

Più che tentare di tirare ancora avanti una commedia all’italiana, la politica tutta farebbe meglio ad adeguarsi e a fare finalmente fruttare meglio un bene pubblico a vantaggio di tutti gli italiani e non solo a vantaggio di un ristrettissima cerchia di pochi privilegiati.

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