Liste d’attesa fuori controllo per le visite specialistiche, ma non se si paga

In caso di superamento dei tempi di attesa dei codici Rao, il cittadino può farsi visitare a pagamento e poi chiedere il rimborso alla Usl. Vietato il blocco delle liste d’attesa.

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In Italia la sanità pubblica va mediamente bene, con punte di eccellenza in molte regioni, ma anche con sacche d’inefficienza distribuite a macchia di leopardo da Nord a Sud, a partire dalle liste d’attesa per le visite specialistiche spesso fuori controllo, con tempi per lo svolgimento di una prestazione in regime pubblico che spesso oltrepassano i limiti fissati dai codici di priorità Rao stabiliti dal medico di famiglia.

Il risultato che si assiste troppo spesso a visite di controllo o preventive fissate a babbo morto anzi, a paziente morto con tempi di accesso anche oltre l’anno. Il che di fatto rappresenta una sanità negata ai cittadini da parte del Sistema sanitario nazionale che dovrebbe assicurare gratuitamente – o con il pagamento di un ticket – le cure a tutti i cittadini che lo finanziano tramite le loro tasse.

Peccato che nella stessa struttura pubblica che rimanda la visita specialistica in regime assistenziale alle calende greche, se si paga magicamente questa sorpassa le liste d’attesa e viene assicurata nel giro di pochi giorni in quello che si definisce regime privatistico intra moenia, dove il medico pubblico assicura la prestazione al cittadino in regime libero professionale dietro il pagamento di una parcella mediamente attorno ai 100-150 euro. Soldi che finiscono con l’incrementare spesso sensibilmente i guadagni del medico, su cui lucra anche la stessa struttura che applica una ritenuta media del 30% a copertura dei costi di struttura utilizzati dal medico pubblico in regime privatistico.

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Di fatto, l’accesso alle visite specialistiche nelle strutture pubbliche si effettua sempre più spesso solo in regime privatistico, con il risultato che i cittadini pagano due volte la stessa prestazione, una con le tasse, l’altra con il proprio portafoglio (che paga pure le tasse). Il che è profondamente ingiusto, specie per coloro che non hanno redditi sufficienti per pagarsi le visite privatistiche, con il risultato che sempre più spesso si rinuncia a curarsi o a prevenire l’insorgenza di patologie anche gravi.

Pochi sanno (perché non lo si vuole fare sapere) che quando il cittadino si vede di fatto negato l’accesso alla prestazione sanitaria nei termini previsti dal Servizio sanitario nazionale, questi può legittimamente rivolgersi al privato e poi farsi rimborsare la spesa sostenuta direttamente dallo stesso Ssn secondo quanto stabilisce una legge della Repubblica, la numero 124 del 29 aprile 1998, che all’articolo 3, comma 13, recita «qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato, l’assistito può chiedere che venga resa nell’ambito dell’attività libero professionale ponendo a carico della Asl l’intero costo della prestazione». Di fatto, qualunque cittadino a prescindere dal suo reddito o dalla sua residenza, se non ottiene una visita nei tempi stabiliti dalla richiesta del medico, può farla privatamente e ottenere il rimborso totale.

Una precisa norma tenuta sotto banco perché se fosse ampiamente utilizzata, come riconoscono gli stessi amministratori pubblici, l’equilibrio dei conti della sanità pubblica andrebbe rapidamente fuori controllo.

Questa legge non è la sola a non essere applicata a favore dei cittadini. C’è anche la legge 23 dicembre 2005, che all’articolo 1, comma 282, afferma che «alle aziende sanitarie e ospedaliere è vietato sospendere le attività di prenotazione delle prestazioni». Quindi, alle Asl è vietato chiudere le agende dei Centri unici di prenotazione per fissare gli appuntamenti per le prestazioni specialistiche. Peccato che nella realtà di tutti i giorni accada giusto il contrario, con le agende che si aprono e si chiudono spesso nel giro di pochi giorni o ore, trasformando il cittadino in una sorta di pallina sballottata dentro un flipper impazzito.

La cosa più allarmante è che nessuno si preoccupi di fare rispettare e applicare le due norme a vantaggio dei cittadini, nonostante che tra le prime dichiarazioni nel neo ministro alla Salute, Orazio Schillaci, esordì appena insediato affermando che le liste d’attesa costituivano un «dossier urgente», salvo fare passare oltre un anno e mezzo senza vedere nessun miglioramento e, soprattutto, l’applicazione compiuta di due leggi a favore del diritto alla salute dei cittadini.

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