Airbnb, in Italia sono oltre 608.000 gli alloggi presenti sulla piattaforma

L’offerta concentrata in Toscana, Sicilia e Lombardia. Gettito potenziale 168 milioni.

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Sono oltre 608.000 gli alloggi disponibili sulla piattaforma Airbnb per gli affitti brevi in Italia nel 2023, con un’offerta concentrata principalmente in tre regioni, che da sole quotano il 35,4%: la Toscana (il 12,9% del totale), la Sicilia (11,4%) e la Lombardia (11,1%). Al quarto posto la Puglia (8,9%), seguita da Sardegna (8,4%), Lazio (8,3%), Campania (6,8%) e Veneto (5,7%). Per quanto riguarda il tasso di occupazione, il livello più elevato si registra nel Lazio con il 69,3%, seguita da Veneto (62,5%) e Lombardia (60,3%).

I dati emergono dalla ricercaAirbnb in Italia: i numeri del fenomenorealizzata da Jfc. Il peso di Airbnb è assai diverso da regione a regione e da città a città. Per valutare il livello di sostenibilità che un territorio può sopportare, Jfc ha individuato un indice (Rhr) che rappresenta il rapporto tra il numero dei residenti e la quantità di alloggi su Airbnb. Considerando come valore massimo un indice di sostenibilità pari a 1 (a livello nazionale tale indice è pari a 1,03), la regione che ha quello più elevato è la Valle d’Aosta (4,26 ma fortemente condizionato dall’esiguità dei residenti), seguita da Sardegna (3,25), Toscana (2,14) e Liguria, con un valore pari a 2,00. Sopra il valore massimo si posizionano anche il Trentino Alto Adige, la Sicilia, la Puglia e l’Umbria.

Ancora più interessante l’indice di sostenibilità delle singole destinazioni, al fine di comprendere quanto il fenomeno Airbnb incida sulle città e sui centri storici. Nessuna sorpresa per il fatto che Firenze presenti un indice elevatissimo, pari a 3,81, e Venezia la marchi stretta con 3,67. Seguono distanziate, ma sempre al di sopra del valore massimo sostenibile, Napoli (1,36) e Roma (1,13). Indice positivo invece a Palermo con 0,67.

Un elemento molto importante da valutare è quello relativo al rapporto tra Airbnb e l’imposta di soggiorno, soprattutto alla luce delle modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2024, che obbliga la piattaforma a riscuotere l’imposta di soggiorno per conto dei locatori che propongono affitti brevi, quindi inferiori alle 30 giornate.

«Questa attività – spiega Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc – ha preso avvio il 15 febbraio in 1.200 comuni: si tratta di una situazione ancora molto, troppo fluida per potere avere certezza sul pagamento dell’imposta di soggiorno da parte di chi alloggia in una struttura ricettiva presente sul portale di Airbnb, e questo concetto è ovviamente valido per tutte le piattaforme di condivisione, da Vrbo a Wimdu, da Halldis a Housetrip sino a Booking. Attualmente, sulla base del numero degli alloggi disponibili nella sola piattaforma Airbnb, calcolando gli alloggi occupati nel 2023, la media degli ospiti alloggiati e la media nazionale del valore dell’imposta applicata a tale tipologia di offerta ricettiva, è stato stimato un complessivo gettito fiscale annuale, generato solo da Airbnb, pari a 167,6 milioni di euro».

Per Ferruzzi, l’obiettivo della ricerca «è di fornire al sistema turismo Italia i numeri del fenomeno Airbnb che è indubbiamente argomento di discussione giornaliera che coinvolge tutte le destinazioni turistiche. Diventa però sempre più difficile gestire (soprattutto per le località con maggiore appeal internazionale) la relazione tra i residenti e i turisti o, per meglio dire, l’esplosione di licenze per affitti turistici da inserire nelle piattaforme online. Diverse le amministrazioni comunali che assistono impotenti a una progressiva riduzione dei quantitativi degli alloggi disponibili per i cittadini, e al parallelo aumento degli affitti e del costo delle case, con il conseguente allontanamento dei residenti dai centri storici».

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