Al 31 dicembre 2023 il debito pubblico delle amministrazioni era pari a 2.862,8 miliardi; a fine 2022 il debito ammontava a 2.757,5 miliardi (141,7% del Pil). Lo rende noto la Banca d’Italia nella pubblicazione statistica “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”.
L’aumento del debito rispetto all’anno precedente (105,3 miliardi) ha riflesso il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (89,2 miliardi), l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del cambio (9,6 miliardi) e l’incremento delle disponibilità liquide del Tesoro (6,5 miliardi, a 49,9).
Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito consolidato delle amministrazioni centrali è cresciuto di 109,2 miliardi, a 2.778,5, mentre quello delle amministrazioni locali si è ridotto di 3,9 miliardi, a 84,2; il debito degli enti di previdenza è rimasto sostanzialmente stabile.
Nel corso del 2023 la quota del debito pubblico detenuto dalla Banca d’Italia è diminuita, collocandosi al 24,3% alla fine dell’anno (dal 26,1% al termine del 2022). Lo scorso dicembre la vita media residua del debito è risultata in linea con i livelli della fine del 2022 (7,8 anni).
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Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, «assistiamo al nuovo record annuale del debito pubblico nazionale. Un bel guaio per il nostro Paese considerati il livello dei tassi di interesse e la nuova politica monetaria della Bce. Se fosse un debito ripartito per ciascun italiano, si tratterebbe di un indebitamento da infarto, pari a 48.524 euro, contro i 46.714 euro del 2022. Anche in questo caso si tratta del peggior dato di sempre. Se fosse un debito a famiglia sarebbe pari a 108.438 euro».
Uno scenario da fare tremare i polsi al governo Meloni ed in particolare al ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti: anche se si professa sereno, Giorgetti con tutta probabilità deve iniziare a preparare un ritocco finanziario di metà anno, visto che il combinato disposto tra debito pubblico in crescita ed economia in rallentamento, generano un buchetto da circa 10 miliardi per mantenere invariato il rapporto Pil/debito.
Le nuove stime di Bruxelles abbassano la crescita italiana 2024, portandola allo 0,7% (dallo 0,9% indicato a novembre), mentre per il prossimo è confermato un +1,2%, a fronte di ben più ottimistici obiettivi indicati a fine settembre dal governo Meloni nella Nadef: +1,2% nel 2024 e +1,4% nel 2025. Secondo Confcommercio nello scenario degli ultimi mesi c’è una «vitalità scarsa, non certo recessione» ma ritmi «incompatibili con la crescita annuale prevista nella Nadef».
La sfida per il governo Meloni è ridurre la spesa pubbblica e gli ingenti sprechi che allignano nel bilancio per liberare risorse senza ricorso a nuove tasse e tagli ai servizi. L’invito a Meloni è di agire come capofamiglia degli italiani che hanno già da tempo ridotto la loro spesa.
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